Page 20 - La Regola Pastorale
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sua accondiscendente misericordia investiga il letto dell’unione carnale, e quello
sguardo del cuore che egli, già innalzato, rivolge alle cose invisibili lo piega pieno di
compassione verso i segreti di creature inferme. Oltrepassa il cielo con la
contemplazione e tuttavia non tralascia, nella sua sollecitudine, di occuparsi del
giaciglio dell’unione carnale; poiché, congiunto strettamente alle realtà più alte e
insieme alle infime dall’intimo abbraccio della carità, egli è rapito potentemente verso
l’alto per virtù del suo spirito, ma per la sua misericordia, nella mitezza del suo animo,
si fa debole negli altri. Perciò infatti dice: Chi è debole e io non sono debole? Chi
patisce scandalo e io non brucio? (2 Cor. 11, 29). E perciò ancora dice: Con i Giudei
sono divenuto come Giudeo (1 Cor. 9, 20). Evidentemente mostrava ciò non con la
perdita della fede, bensì con l’estendere la sua misericordia, così che trasferendo in sé la
persona degli infedeli potesse imparare da se stesso come avrebbe dovuto avere
compassione degli altri e fare a loro il bene che — nella medesima condizione —
avrebbe rettamente voluto fosse fatto a lui. E di nuovo perciò dice: Se usciamo di mente
è per Dio; se siamo sobri è per voi (2 Cor. 5, 13), poiché nella contemplazione egli
sapeva salire oltre se stesso, ma sapeva ugualmente moderare se stesso per
condiscendenza verso i suoi ascoltatori. Per questo Giacobbe, quando il Signore
risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra, vide angeli che salivano e
scendevano (cf. Gen. 28, 12): a significare, cioè, che i veri predicatori non solo anelano
verso l’alto con la contemplazione, al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, ma nella
loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra. Ugualmente Mosè entra ed
esce tanto frequentemente dal Tabernacolo: dentro, è rapito dalla contemplazione; fuori,
è pressato dalle necessità di creature inferme. Dentro, medita i misteri di Dio; fuori,
porta i pesi delle realtà carnali. Ma pure, quando si tratta di casi dubbi egli ricorre
sempre al Tabernacolo e davanti all’arca del testamento consulta il Signore: certo per
offrire un esempio alle guide delle anime perché, quando nelle decisioni di carattere
esterno si trovano nell’incertezza, ritornino sempre al proprio cuore come . al
Tabernacolo; sarà come se fossero davanti all’arca del testamento a consultare il
Signore, se riguardo a ciò per cui dentro di sé sono in dubbio, ricercheranno nel loro
intimo le pagine della parola sacra. Perciò la Verità stessa che ci si è mostrata
nell’assunzione della nostra umanità, sul monte si immerge nella preghiera, ma nelle
città opera i miracoli (cf. Lc. 6, 12): evidentemente per appianare la via dell’imitazione
alle buone guide delle anime, perché se anche sono già protese alle somme altezze della
contemplazione, sappiano tuttavia mescolarsi compatendo alle necessità di creature
inferme. Poiché la carità si eleva a meravigliosa altezza quando si trascina con
misericordia fino alle bassezze del prossimo; e con quanto maggior benevolenza si
piega verso le infermità tanto più potentemente risale verso l’alto. Coloro che
presiedono si mostrino tali che quanti sono loro soggetti non arrossiscano di affidar loro
i propri segreti, affinché, quando si sentono come bambini nella lotta contro i flutti delle
passioni, ricorrano al cuore del Pastore come al seno di una madre; e col sollievo della
sua esortazione e le lacrime della sua preghiera lavino le impurità della colpa che preme
e minaccia di contaminarli. Per questo davanti alla porta del tempio c’è il mare di
bronzo, cioè il bacino per la purificazione delle mani di chi entra, ed è sostenuto da
dodici buoi i quali sporgono con la parte anteriore mentre la posteriore resta nascosta
(cf. 1 Re 7, 23-25). Che cosa significano i dodici buoi se non tutto l’ordine dei Pastori,
dei quali, secondo il commento che ne fa Paolo, la Scrittura dice: Non mettere la
museruola al bue che trebbia (1 Cor. 9, 9)? Di essi non vediamo le opere compiute
apertamente, ma ignoriamo ciò che li attende nella segreta retribuzione del severo