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Regola pastorale

                          di san Gregorio Magno, Pontefice romano,
                          a Giovanni Vescovo della Città di Ravenna



                            Gregorio al reverendissimo e santissimo Giovanni,
                                              fratello nell’episcopato



                  Carissimo  fratello,  con  intenzione  umile  e  benevola  tu  mi  rimproveri  di  aver  voluto
                  sottrarmi al peso della cura pastorale cercando di nascondermi, ma perché non sembri a
                  certuni che tale peso sia leggero, intendo scrivere in questo libro tutto quello che penso
                  della sua gravità, affinché chi è libero da esso non vi aspiri con leggerezza, e chi vi ha
                  aspirato con leggerezza abbia gran timore di averlo ottenuto.
                  La materia trattata in questo libro si divide in quattro parti, per accostare l’animo del
                  lettore  con  ordinate  argomentazioni,  come  i  passi  successivi  di  un  cammino.  Infatti
                  occorre che chiunque sia chiamato al più alto grado del governo pastorale — quando gli
                  eventi  storici  lo  richiedono  —  valuti  seriamente  come  vi  giunge;  e  se  vi  giunge
                  legittimamente  consideri  qual  è  la  sua  vita;  e  se  la  sua  vita  è  buona,  qual  è  il  suo
                  insegnamento;  e  se  il  suo  insegnamento  è  corretto,  egli  deve  essere  quotidianamente
                  consapevole,  con  ogni  possibile  considerazione,  della  propria  debolezza;  e  così  non
                  avvenga che o la sua umiltà lo sottragga dall’accedere alla dignità o la sua condotta di
                  vita contrasti con essa; la sua dottrina si allontani da una buona condotta di vita o la
                  presunzione  gli  faccia  esaltare  la  propria  dottrina.  Quindi  innanzitutto  sia  il  timore  a
                  moderare il desiderio; poi sia la condotta di vita a confermare un magistero che viene
                  assunto da chi non lo cercava; quindi è necessario che quanto di bene si manifesta nel
                  modo di vivere del Pastore si diffonda anche attraverso la sua parola. Resta infine che la
                  considerazione  della  propria  debolezza  abbassi  ai  suoi  occhi  il  valore  di  ogni  opera
                  buona che egli compie, affinché la gonfiezza dell’esaltazione non la cancelli agli occhi
                  del Giudice occulto.
                  Molti però, che sono simili a me per ignoranza, mentre non sanno misurare se stessi,
                  bramano di insegnare ciò che non hanno imparato e tanto più giudicano leggero il peso
                  del magistero, quanto meno sanno valutarne la grandezza. Costoro si sentano biasimati
                  fin dal principio di questo libro e poiché, indotti e precipitosi come sono, mirano ad
                  occupare la rocca della dottrina, siano respinti dalla temerarietà della loro precipitazione
                  fin dalla soglia del nostro discorso.
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