Page 6 - La Regola Pastorale
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grave il peso del governo delle anime, perché nessuno che non sia in grado di sostenerlo
osi accostarsi temerariamente ai ministeri sacri e, per la bramosia di raggiungere il
luogo della massima dignità, si assuma invece la guida della perdizione. Per questo
Giacomo mette piamente in guardia dicendo: Non vogliate, fratelli miei, divenire
maestri in molti (Giac. 3, 1). E perciò lo stesso Mediatore fra Dio e gli uomini rifuggi
dall’assumere il regno sulla terra, lui che superando la scienza e la conoscenza anche
degli spiriti celesti regna nei cieli prima dei secoli. Difatti è scritto: Gesù, dunque,
sapendo che sarebbero venuti per rapirlo e farlo re, fuggì di nuovo sul monte, lui solo
(Gv. 6, 15). Eppure chi avrebbe potuto regnare senza colpa sugli uomini come colui che
avrebbe regnato, così., sulle sue creature? Ma poiché era venuto nella carne proprio per
questo, non solo per redimerci con la sua passione ma anche per ammaestrarci con la
sua vita e offrirsi come esempio per quelli che lo seguivano, perciò non volle divenire
re, ma si avviò spontaneamente al patibolo della croce, fuggi la gloria della somma
dignità che gli veniva offerta, ricercò la pena di una morte obbrobriosa. Ciò
evidentemente perché noi sue membra imparassimo a fuggire i favori del mondo, a non
temere affatto i terrori della morte, ad amare le avversità per difendere la verità, a
evitare con timore la prosperità, perché questa con la gonfiezza che l’accompagna
corrompe il cuore, mentre le avversità lo purificano attraverso la sofferenza. Nella
prosperità l’animo si innalza, ma nell’avversità, anche se prima si fosse innalzato, si
prostra. Nella prosperità l’uomo dimentica ciò che è, ma nell’avversità anche non
volendolo è richiamato quasi per costrizione a ricordarsene. Nella prosperità spesso
anche il bene compiuto prima si corrompe, ma nell’avversità viene cancellato ciò che di
male si è commesso anche nel corso di un lungo tempo. Infatti, per lo più sotto il
magistero dell’avversità il cuore è come costretto dalla disciplina, ma se poi si innalza
fino al più alto grado di governo, per l’esperienza della gloria si muta ben presto fino
all’esaltazione. Così Saul, che in un primo tempo era fuggito per non essere fatto re
considerandosene indegno (cf. 1 Sam. 10, 22), poi come ebbe assunto la guida del regno
si gonfiò, e bramoso di essere onorato davanti al popolo, per non essere rimproverato
pubblicamente, rinnegò perfino colui che l’aveva unto re (cf. 1 Sam. 15, 17-30). Così
David, approvato quasi in ogni sua azione dal giudizio di Dio, appena non si senti più
oppresso dalla persecuzione ruppe nella superba ferita del peccato (cf. 2 Sam. 11, 3 ss.)
e divenne rigido e crudele nel volere la morte di un uomo nobile, mentre era stato molle
e senza forza nel desiderio dissoluto di una donna. Lui che prima aveva saputo salvare
piamente i malvagi imparò poi a desiderare l’uccisione anche dei buoni con fredda
determinazione (cf. 2 Sam. 11, 15). Infatti una volta pur trovandosi nelle mani il suo
persecutore non volle colpirlo, ma in seguito uccise un soldato devoto, con danno,
inoltre, dell’esercito che già si trovava in difficoltà. E la colpa lo avrebbe certamente
strappato e portato ben lontano dal numero degli eletti, se il castigo divino non lo avesse
richiamato al perdono (cf. 2 Sam. 12).
4 — L’occupazione del governo delle anime per lo più dissipa l’unità dello spirito
Spesso le cure assunte col governo delle anime disperdono il cuore in diverse direzioni
così che ci si ritrova incapaci di affrontare problemi singoli perché la mente confusa è
divisa in molte occupazioni. Perciò un sapiente avvertito ammonisce: Figlio non
applicarti a molte attività (Sir. 11, 10). E ciò per dire che la mente divisa in diverse
operazioni non può raccogliersi pienamente nella considerazione esigente di ciascuna; e
mentre è trascinata al di fuori da una cura prepotente, si svuota di quella unità dello