Page 88 - La Regola Pastorale
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ucciso  inchiodandolo  per  mano  di  empi,  ma  Dio  lo  ha  risuscitato,  avendo  sciolto  le
                  doglie dell’inferno (Atti, 2, 22-24). Disse così, evidentemente, affinché, abbattuti dalla
                  consapevolezza della propria crudeltà, con quanta maggior tensione avrebbero ricercato
                  l’edificazione  della  santa  predicazione,  tanto  più  utilmente  l’ascoltassero.  E  quindi,
                  subito rispondono: Che cosa dobbiamo fare, allora, fratelli? E ad essi viene detto: Fate
                  penitenza  e  ciascuno  di  voi  sia  battezzato  (Atti,  2,  37-38).  Essi  non  avrebbero
                  certamente  fatto  alcun  conto  di  queste  parole  di  edificazione,  se  prima  non  avessero
                  trovato  la  salutare  rovina  della  loro  propria  distruzione.  Perciò  Paolo,  quando
                  risplendette su di lui la luce mandata dal cielo, non udì ciò che avrebbe dovuto fare di
                  bene,  ma  ciò  che  aveva  fatto  di  male.  Infatti,  quando  prostrato  chiedeva:  Chi  sei,
                  Signore? Gli fu subito risposto: Io sono Gesù Nazareno che tu perseguiti. E alla sua
                  seconda  immediata  richiesta:  Signore,  che  cosa  ordini  che  faccia?  Viene  aggiunto
                  subito: Alzati ed entra in città e là ti sarà detto che cosa è bene che tu faccia (Atti, 9, 24
                  ss.;  22,  8  ss.).  Ecco,  il  Signore,  parlando  dal  cielo,  rimprovera  le  azioni  del  suo
                  persecutore e tuttavia non mostra immediatamente che cosa avrebbe dovuto fare. Ecco,
                  ormai tutto l’edificio del suo orgoglio era crollato e, divenuto umile dopo la sua rovina,
                  cercava  di  essere  riedificato.  Ma  la  superbia  viene  distrutta  e  tuttavia  le  parole
                  dell’edificazione  vengono  ancora  trattenute,  evidentemente  perché  il  crudele
                  persecutore  giaccia  a  lungo  abbattuto,  e  poi,  tanto  più  solidamente  risorga  nel  bene,
                  quanto  più,  prima,  era  caduto,  rovesciato  fin  dalle  fondamenta,  dal  primitivo  errore.
                  Pertanto,  coloro  che  non  hanno  ancora  incominciato  a  compiere  alcun  bene  devono,
                  prima,  essere  rovesciati  dalla  loro  rigida  perversità,  dalla  mano  della  correzione;  per
                  essere,  poi,  rialzati  alla  condizione  di  chi  agisce  rettamente.  Poiché  è  come  quando
                  tagliamo  un  albero  per  innalzarlo,  poi,  alla  copertura  di  un  edificio:  esso  non  viene
                  impiegato  immediatamente  nella  costruzione,  perché  prima  si  secchi  il  suo  umore
                  nocivo; e quanto più questo si asciuga nel suo interno, tanto più solidamente può essere
                  sollevato in alto. Al contrario, bisogna ammonire coloro che non portano a termine il
                  bene iniziato, a considerare con molta attenzione che, col non adempiere quanto si sono
                  proposti, strappano via anche ciò a cui avevano dato inizio. Se, infatti, ciò che sembra di
                  dover fare non cresce per una sollecita applicazione, diminuisce anche ciò che era stato
                  ben compiuto. Poiché, in questo mondo, la vita umana è come una nave che sale contro
                  la corrente di un fiume: non le è permesso di stare ferma in un luogo, perché scivola di
                  nuovo verso il basso, se non si sforza di salire verso l’alto. Dunque, se la forte mano di
                  chi opera non conduce a perfezione il bene intrapreso, la stessa interruzione dell’operare
                  lotta contro quanto è già stato compiuto. Ed è ciò che è detto per mezzo di Salomone:
                  Chi è molle e trascurato nel suo operare è fratello di chi dissipa il proprio lavoro (Prov.
                  18, 9). Poiché è chiaro che, chi non esegue rigorosamente quanto ha iniziato di buono,
                  la trascuratezza della sua negligenza è come la mano di un distruttore. Perciò l’angelo
                  dice alla Chiesa di Sardi: Sii vigilante e consolida le altre cose che stavano per morire,
                  infatti non trovo complete le tue opere davanti al mio Dio (Ap. 3, 2). Dunque, poiché le
                  sue opere non erano state trovate complete davanti a Dio, prediceva che sarebbero morte
                  anche quelle altre che erano state compiute. Infatti, se ciò che in noi  è  morto non si
                  riaccende a vita, si estingue anche ciò che, in un certo senso, si conserva ancora vivo.
                  Bisogna  ammonirli  a  considerare  che  avrebbe  potuto  essere  più  tollerabile  non
                  intraprendere  la  via  del  giusto,  piuttosto  che  tornare  indietro  dopo  averla  intrapresa;
                  infatti,  se  non  si  voltassero  a  guardare  indietro,  non  languirebbero  nel  torpore,  dopo
                  l’attività  iniziata.  Ascoltino  dunque  ciò  che  è  scritto:  Sarebbe  stato  meglio  non
                  conoscere la via della giustizia che voltarsi indietro dopo averla conosciuta (2 Pt. 2,
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