Page 82 - La Regola Pastorale
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sapiente: Se uno si lava dopo aver toccato un morto e poi lo tocca di nuovo, che cosa
serve che si sia lavato? (Sir. 34, 30). Si lava, cioè, dopo aver toccato un morto, chi si
purifica col pianto dal peccato; ma tocca il morto dopo il lavacro, colui che dopo le
lacrime ripete la colpa. Bisogna ammonire coloro che piangono i peccati commessi e
tuttavia non se ne staccano, a riconoscersi, davanti agli occhi del Giudice severo, simili
a quelli che si presentano di fronte a certi uomini e li blandiscono mostrando grande
sottomissione, ma allontanandosi procurano loro inimicizie e danni con effetti atroci.
Che cosa significa infatti piangere la colpa se non mostrare a Dio l’umiltà della propria
devozione? E che cos’è comportarsi iniquamente dopo avere pianto il peccato, se non
praticare superba inimicizia verso colui che si era pregato? Così attesta Giacomo che
dice: Chi vuole essere amico di questo secolo, si costituisce nemico di Dio (Giac. 4, 4).
Bisogna ammonire coloro che piangono i peccati e tuttavia non se ne staccano, a
considerare attentamente che per lo più tanto inutilmente i cattivi si muovono a
compunzione per la giustizia, quanto spesso i buoni sono tentati al male senza danno.
Avviene cioè che, per una mirabile misura della loro disposizione interiore,
corrispondente ai loro meriti, quando quelli fanno qualcosa di buono che tuttavia non
portano a termine, assumono una superba fiducia, perfino mentre continuano a compiere
il male; e costoro — quando vengono tentati dal male cui per altro non consentono —
quanto più la loro debolezza li fa esitanti, tanto più, attraverso l’umiltà, puntano i passi
del loro cuore, con fermezza e verità, alla giustizia. Balaam, infatti, guardando agli
attendamenti dei giusti dice: Muoia la mia anima la morte dei giusti e i miei ultimi
momenti siano simili a quelli di costoro (Num. 23, 10); ma quando si fu allontanato il
tempo della compunzione, offrì il suo consiglio contro la vita di coloro ai quali aveva
chiesto di divenire simile anche nella morte. E quando trovò un’occasione per
[soddisfare] la sua avarizia, subito dimenticò tutto quanto aveva desiderato per sé
nell’innocenza (cf. Ap. 2, 14). Perciò, invero, il maestro e predicatore delle genti, Paolo,
dice: Vedo un’altra legge, nelle mie membra, lottare contro la legge dello spirito e
condurmi prigioniero sotto la legge del peccato che è nelle mie membra (Rom. 7, 23).
Egli certamente viene tentato, proprio per essere più fortemente consolidato nel bene
dalla consapevolezza della propria infermità. Com’è dunque che quello è portato alla
compunzione e tuttavia ciò non lo fa avvicinare alla giustizia; mentre questi è tentato
eppure la colpa non lo macchia, se non che — come apertamente si manifesta — il bene
incompiuto non giova ai cattivi né il male non consumato non condanna i buoni? Al
contrario, bisogna ammonire coloro che si staccano dal peccato e però non lo piangono,
a non stimare perdonate quelle colpe che essi non purificano col pianto, anche sé non le
moltiplicano col loro agire. Infatti, uno scrittore che cessa dallo scrivere non cancella
ciò che ha scritto in precedenza solo per il fatto di non aggiungervi altri scritti. Né è
sufficiente che uno che proferisce ingiurie taccia, per dare soddisfazione, mentre è
necessario che contraddica con parole di umile sottomissione quelle pronunciate
precedentemente con superbia. Né un debitore è assolto perché non aggiunge debiti a
debiti, ma lo è se scioglie quelli con cui è legato. E cose, quando pecchiamo nei
confronti di Dio, non diamo soddisfazione solamente se cessiamo di peccare, ma non
facciano seguire anche le lacrime, di contro a quei piaceri che abbiamo amato. Se infatti
in questa vita non ci fossimo macchiati di nessuna colpa di opere, la stessa nostra
innocenza, finché ancora siamo qui, non sarebbe sufficiente alla nostra sicurezza, perché
molte azioni illecite busserebbero alla nostra anima; con quale pensiero, allora, si sente
sicuro, uno che per le colpe che ha commesso è testimone a se stesso di non essere
innocente? Né, d’altra parte, Dio si pasce delle nostre sofferenze, ma invece cura le