Page 80 - La Regola Pastorale
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piangono  la  sozzura  del  loro  errore,  con  le  lacrime  purifichino  insieme  sé  e  quelli,
                  interamente.  Perciò  è  detto  bene,  per  mezzo  di  Geremia,  pensando  ai  singoli  peccati
                  della  Giudea:  Il  mio  occhio  ha  fatto  scendere  acque  divise  (Lam.  3,  48);  poiché  noi
                  facciamo scendere dagli occhi corsi d’acqua divisi, quando spargiamo per ogni singolo
                  peccato  la  sua  parte  di  lacrime.  Infatti  l’animo  non  prova  dolore  nello  stesso  unico
                  momento per tutti i peccati insieme, ma mentre la memoria è toccata più acutamente ora
                  dall’uno ora dall’altro, commovendosi per ciascuno singolarmente, essa si purifica di
                  tutti  insieme.  Bisogna  ammonirli  a  confidare  con  certezza  nella  misericordia  che
                  chiedono, per non morire sotto la forza di una eccessiva afflizione. Poiché infatti non
                  sarebbe pietà, nel Signore, porre davanti agli occhi dei peccatori i peccati da piangere,
                  se per parte sua volesse poi colpirli severamente. È evidente infatti, che egli ha voluto
                  sottrarre al suo giudizio coloro che ha fatto giudici di se stessi, prevenendoli con la sua
                  misericordia. Perciò infatti è scritto: Preveniamo il volto del Signore con la confessione
                  (Sal. 94, 2). Perciò è detto per mezzo di Paolo: Se ci giudicassimo da noi stessi non
                  verremmo giudicati (1 Cor. 11, 31). E ancora bisogna ammonirli ad avere così quella
                  fiducia che viene dalla speranza, e tuttavia a non intorpidire in una incauta sicurezza.
                  Spesso, infatti, l’astuto avversario, quando vede l’animo, che egli insidia col peccato,
                  afflitto per la propria rovina, lo seduce con gli allettamenti di una pestifera sicurezza.
                  Ciò  è  espresso  in  figura  dove  si  ricorda  l’episodio  di  Dina.  È  scritto:  Dina  usci  per
                  vedere  le  donne  di  quella  regione;  ma  quando  la  vide  Sichem,  figlio  di  Emor  eveo,
                  principe  di  quel  paese,  si  innamorò  di  lei  e  la  rapi  e  dormi  con  lei  violando  la  sua
                  verginità e la sua anima si uni con lei e alleviò con le carezze la sua tristezza (Gen. 34,
                  1-3). E Dina esce per vedere le donne della regione straniera, ogni volta che un’anima,
                  trascurando l’oggetto del suo proprio amore e curandosi di attività che le sono estranee,
                  vaga al di fuori della sua condizione e del suo proprio stato. E allora Sichem, principe
                  del  paese,  la  viola,  ovvero  il  diavolo,  trovatala  presa  da  occupazioni  esterne,  la
                  corrompe; e la sua anima si uni con lei, poiché la vede unita a sé nell’iniquità. E quando
                  l’anima, rientrata in sé dalla colpa, si accusa e tenta di piangere il peccato commesso,
                  allora il corruttore richiama ai suoi occhi le speranze e le sicurezze vane, per sottrarla
                  alla  utile  tristezza;  perciò  giustamente  si  aggiunge:  e  alleviò  con  le  carezze  la  sua
                  tristezza. Ora, infatti, le parla dei più gravi peccati di altri; ora le dice che quanto ha
                  fatto non è niente e ora che Dio è misericordioso ora le promette che ci sarà in seguito
                  dell’altro tempo per fare penitenza, affinché l’anima condotta attraverso questi inganni
                  tenga in sospeso l’intenzione del pentimento, e poiché, ora, nessun peccato la rattrista,
                  non riceva, poi, alcun bene, e sia, allora, più pienamente sommersa dai supplizi, essa
                  che,  ora,  gode  perfino  nei  peccati.  Bisogna,  invece,  ammonire  coloro  che  piangono
                  peccati di pensiero, a considerare accuratamente tra le pieghe misteriose dell’animo, se
                  hanno peccato solamente col piacere o anche col consenso. Spesso, infatti, il cuore è
                  tentato  e  trae  piacere  dalla  malizia  della  carne,  e  tuttavia  contrasta  con  la  ragione  a
                  quella  malizia;  cosicché,  nel  segreto  del  pensiero,  ciò  che  piace  rattrista,  e  ciò  che
                  rattrista piace. Ma talvolta l’animo viene talmente assorbito nel baratro della tentazione
                  da non resisterle affatto, e, invece, da seguirla deliberatamente dove il piacere lo spinge;
                  e così che, se si offre la possibilità esteriore, è pronto a consumare gli intimi desideri,
                  attuandoli  coi  fatti.  E  ciò  non  è  più  colpa  di  pensiero,  quando  la  colpisce  la  giusta
                  punizione del severo Giudice, ma è peccato di opera, poiché quantunque la mancanza
                  della possibilità di attuazione distolga esteriormente il peccato, nell’intimo, la volontà
                  l’ha compiuto con l’opera del consenso. Nel progenitore abbiamo imparato che sono tre
                  i  modi  con  cui  perfezioniamo  la  malizia  di  ogni  colpa:  la  suggestione,  il  piacere,  il
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