Page 81 - La Regola Pastorale
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consenso. La prima si compie attraverso il nemico, il secondo attraverso la carne, il
terzo con lo spirito. Infatti, l’insidiatore suggerisce il male, la carne si sottopone al
piacere e, all’ultimo, lo spirito vinto consente ad esso. In effetti, il serpente suggerì il
male, Eva, come carne, si sottomise al piacere; Adamo, come spirito, vinto dalla
suggestione e dal piacere, acconsenti (cf. Gen. 3, 1 ss.). E così, riconosciamo il peccato
dalla suggestione, restiamo vinti dal piacere e ci leghiamo col consenso. Pertanto,
bisogna ammonire coloro che piangono peccati di pensiero, a considerare con cura
l’entità della loro caduta nel peccato, affinché la misura del loro pianto corrisponda alla
rovina interiore che essi avvertono in se stessi e valga a risollevarli, e non siano indotti
ad attuare, con le opere, quei cattivi pensieri che meno li affliggono. Ma soprattutto
bisogna incutere timore in loro, non però in modo che ne restino, anche per poco,
spezzati. Poiché spesso Dio misericordioso tanto più in fretta lava i peccati del cuore, in
quanto non permette che essi sfocino nelle opere; e il male solamente pensato è più
rapidamente sciolto, poiché non si lega così strettamente all’effetto dell’opera. Perciò è
detto bene per mezzo del salmista: Dissi: confesserò contro di me le mie iniquità al
Signore e tu hai rimesso l’empietà (Sal. 31, 3) del mio cuore. Egli infatti ha sottoposto
l’empietà del cuore, poiché ha indicato di voler confessare i peccati di pensiero. E
mentre dice: Dissi: confesserò, e subito aggiunse: E tu hai rimesso, mostra quanto sia
facile su di essi il perdono: mentre ancora si ripromette di chiedere ha già ottenuto,
perché, dato che la colpa non era pervenuta all’atto, la penitenza non dovesse giungere
al grado del supplizio, ma l’afflizione del pensiero lavasse il cuore che solo la malizia
del pensiero aveva macchiato.
30 — Come bisogna ammonire coloro che non si astengono dai peccati che piangono, e
coloro che si astengono da quelli commessi ma non li piangono
Diverso è il modo di ammonire coloro che piangono i peccati commessi e tuttavia non
se ne staccano, e quelli che se ne staccano e tuttavia non li piangono. Infatti, bisogna
ammonire i primi a sapere considerare con cura che invano si purificano piangendo,
coloro che si macchiano vivendo nel peccato, poiché si lavano con le lacrime per poter
ritornare, lavati, alla lordura. Perciò infatti è scritto: Il cane è ritornato al suo vomito e
la scrofa lavata a rotolarsi nel fango (2 Pt. 2, 22). Il cane, cioè, quando vomita rigetta
certamente il cibo che gli opprimeva lo stomaco, ma quando ritorna al vomito, di cui si
era alleggerito, si appesantisce di nuovo. E coloro che piangono i peccati commessi,
certamente rigettano, confessandola, la malizia con cui si erano malamente saziati e che
opprimeva l’intimo dell’animo, ma la riprendono su di sé quando la ripetono dopo
averla confessata. E la scrofa, con l’arrotolarsi nel fango dopo essersi lavata, ritorna più
sporca di prima. E chi piange i peccati, e tuttavia non rinuncia ad essi, si sottopone alla
pena di una colpa maggiore, poiché disprezza proprio quel perdono che poté ottenere
con le lacrime, ed è come se si rotolasse nell’acqua fangosa; poiché, mentre sottrae al
suo pianto la purezza della vita [ottenuta con esso], davanti agli occhi di Dio rende
sordide perfino quelle lacrime. Perciò ancora è scritto: Non dire due volte una parola
nella preghiera (Sir. 7, 15); infatti, dire due volte una parola nella preghiera corrisponde
a commettere, dopo il pianto, ciò che è necessario tornare a piangere. Perciò è detto per
mezzo di Isaia: Lavatevi, siate puri (Is. 1, 16); infatti, chi non custodisce l’innocenza
della vita dopo il pianto, trascura di conservarsi puro dopo il lavacro. Pertanto, si lavano
e tuttavia non sono puri, coloro che non cessano di piangere i peccati commessi, ma
continuano a commettere azioni degne di pianto. Perciò è detto, per mezzo di un