Page 65 - La Regola Pastorale
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vostra chiamata (Ef. 4, 3-4). Dunque, non si giunge all’unica speranza della chiamata se
                  non si corre verso di essa con l’animo unito al prossimo. Ma spesso ci sono alcuni che,
                  quanto più sono i doni particolari che ricevono, tanto più insuperbiscono perdendo il
                  dono più grande che è quello della concordia; come sarebbe uno che soggioga la propria
                  carne più degli altri, frenando la gola, e trascuri di andare d’accordo con coloro a cui è
                  superiore  nell’astinenza.  Ma  chi  separa  l’astinenza  dalla  concordia,  consideri  ciò  che
                  dice il salmista: Lodatelo col timpano e il coro (Sal. 150, 4). Infatti il timpano suona per
                  la percussione di una pelle secca, invece nel coro le voci concordano tutte insieme; e
                  così chi affligge il corpo ma abbandona la concordia, loda certo Dio col timpano, ma
                  non  lo  loda  col  coro.  Spesso,  poi,  una  maggiore  scienza,  mentre  innalza  certuni,  li
                  divide dalla comunione con gli altri, e in un certo senso, quanto più sanno, tanto più
                  diventano incapaci della virtù della concordia.
                  Dunque,  costoro  ascoltino  che  cosa  dice  la  Verità  in  persona:  Abbiate  sale  in  voi  e
                  abbiate pace tra voi (Mc. 9, 49). La sapienza, cioè, non è un dono di virtù, ma causa di
                  condanna.  Infatti,  quanto  più  uno  è  sapiente,  tanto  più  gravemente  pecca,  e  perciò
                  meriterà  il  supplizio  senza  possibilità  di  scusa,  perché,  se  avesse  voluto,  con  la  sua
                  prudenza avrebbe potuto evitare il peccato. A costoro è detto giustamente per mezzo di
                  Giacomo: Che se avete zelo amaro e ci sono contese nel vostro cuore, non gloriatevi e
                  non dite menzogne contro la verità. Questa non è sapienza che scende dall’alto, ma è
                  sapienza terrena, animale, diabolica. Invece, la sapienza che è dall’alto, innanzitutto è
                  pudica, quindi pacifica (Giac. 3, 14-15.17). Pudica, cioè, perché è casta nell’intendere, e
                  pacifica perché non si separa affatto con l’esaltazione dalla comunione col prossimo.
                  Bisogna ammonire i litigiosi a conoscere che non immolano alcun sacrificio di opere
                  buone a Dio, per tutto il tempo in cui non concordano nella carità col prossimo. Infatti, è
                  scritto: Se mentre offri il tuo dono all’altare ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa
                  contro di te, lascia là il tuo dono e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello e poi vieni a
                  offrire il tuo dono (Mt. 5, 23-24). Da questo precetto, bisogna considerare di chi sia la
                  offerta  che  viene  respinta  e  quanto  sia  intollerabile  la  colpa  che  viene  così  indicata.
                  Infatti,  se  tutti  i  peccati  vengono  cancellati  per  il  bene  compiuto  in  seguito,
                  consideriamo  quanto  sia grande il  peccato  della discordia, che se non viene distrutto
                  radicalmente  non  permette  al  bene  di  seguirlo.  Bisogna  ammonire  i  litigiosi,  se
                  distolgono gli orecchi  dai  precetti  celesti,  ad aprire  gli occhi  del  cuore  a considerare
                  come si comportano le creature degli ordini più bassi; come gli uccelli  di una stessa
                  specie, volando tutti insieme non si lasciano, gli uni con gli altri; e come gli animali, che
                  pure sono senza intelligenza, pascolano a gruppi. Poiché, se guardiamo con attenzione,
                  la natura irrazionale nell’accordo con se stessa indica quanto sia grande il peccato che la
                  natura  razionale  commette  con  la  discordia;  poiché  questa,  con  l’applicazione  della
                  ragione, ha perduto ciò che quella custodisce per istinto naturale. Bisogna, al contrario,
                  ammonire i pacifici, a non amare più del necessario la pace che possiedono, così da non
                  aspirare  a  raggiungere  quella  eterna.  Spesso  infatti  la  tranquillità  esteriore  tenta  più
                  gravemente l’attenzione degli animi così che quanto meno moleste sono le condizioni in
                  cui essi si trovano, tanto meno amabili divengono quelle cui sono chiamati; e quanto più
                  dilettano  le  presenti,  tanto  meno  si  ricercano  le  eterne.  Per  cui,  la  Verità  stessa,
                  distinguendo la pace terrena da quella celeste e volendo eccitare i discepoli, dalla pace
                  presente a quella eterna, dice:  Lascio a voi  la pace, vi  do la  mia pace  (Gv. 14, 27).
                  Lascio,  cioè,  la  pace  transitoria  e  do  quella  durevole.  Se  dunque  il  cuore  si  fissa  in
                  quella pace che è stata lasciata, non perviene mai a quella che deve essere data. Pertanto
                  bisogna conservare la pace presente in modo da amarla e insieme disprezzarla, affinché,
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