Page 58 - La Regola Pastorale
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cerco la mia volontà ma la volontà del Padre che mi ha mandato (Gv. 5, 30). Egli che,
                  per  meglio  raccomandare  la  grazia  di  questa  virtù,  affermò  che  l’avrebbe  conservata
                  nell’ultimo giudizio, dicendo: Io non posso fare nulla da me stesso, ma come ascolto
                  giudico  (Gv.  5,  30).  Dunque,  con  quale  coscienza  l’uomo  disdegna  di  sottostare  alla
                  volontà altrui, quando il Figlio di Dio, e dell’uomo, venuto a manifestare la gloria della
                  sua potenza, afferma di non giudicare da se stesso? Al contrario, bisogna ammonire gli
                  incostanti a rafforzare la loro mente con la fermezza Infatti essi inaridiscono in sé i frutti
                  della mutevolezza, se prima strappano dal  cuore la radice della leggerezza, perché si
                  costruisce un edificio stabile quando si provvede prima un luogo solido in cui porre le
                  fondamenta. Pertanto, se prima non si provvede a togliere la leggerezza dalla mente,
                  non si vince per nulla l’incostanza del pensiero. Paolo mostra di essere stato alieno da
                  costoro, quando dice: Ho forse usato della leggerezza? Oppure penso secondo la carne
                  così che in me ci siano il si e il no? (2 Cor. 1, 17). Come se dicesse apertamente: Non
                  sono mosso dal vento della instabilità perché non soggiaccio al vizio della leggerezza.

                  19 — Come si devono ammonire gli intemperanti nel cibo e i parchi

                  Diverso  è  il  modo  di  ammonire  i  golosi  e  i  temperanti.  Infatti  nei  primi  il  vizio  è
                  accompagnato  dall’eccesso  del  parlare,  dalla  leggerezza  dell’operare  e  dalla  lussuria;
                  agli altri si unisce spesso l’impazienza e spesso anche la superbia. Infatti, se la loquacità
                  smodata non rapisse i golosi, quel ricco di cui si dice che banchettava splendidamente
                  ogni  giorno  non  sarebbe  stato  arso  più  gravemente  nella  lingua.  Infatti  dice:  Padre
                  Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a bagnare la punta del suo dito nell’acqua,
                  per dare sollievo alla mia lingua, perché sono tormentato in questa fiamma (Lc. 16,
                  24).  Con  queste  parole,  certamente  si  mostra  che  banchettando  ogni  giorno,  aveva
                  peccato più frequentemente con la lingua, egli che pur ardendo tutto cercava refrigerio
                  soprattutto per essa. E ancora l’autorità della Sacra Scrittura attesta che la leggerezza
                  dell’operare segue immediatamente i golosi, dicendo: Il popolo si sedette per mangiare
                  e bere, e si alzò per divertirsi (Es. 32, 6). E spesso la voracità trascina costoro fino alla
                  lussuria, perché quando il ventre si distende nella sazietà, si eccitano gli stimoli della
                  libidine. Perciò all’astuto nemico, che apri la sensualità del primo uomo alla bramosia
                  del frutto e la strinse poi col laccio del peccato, è detto dalla voce divina: Striscerai sul
                  petto e sul ventre (cf. Gen. 3, 14), come se gli venisse detto apertamente: dominerai suoi
                  cuori umani coi pensieri cattivi e la golosità. Che poi la lussuria tenga dietro ai golosi, lo
                  attesta il profeta, che mentre racconta ciò che è manifesto denuncia ciò che è nascosto,
                  dicendo:  Il  principe  dei  cuochi  distrusse  le  mura  di  Gerusalemme  (cf.  2  Re,  25,  10.
                  LXX). Infatti il principe dei cuochi è il ventre, al quale si presta gran cura da parte dei
                  cuochi, perché possa riempirsi di cibi nel piacere. Le mura di Gerusalemme poi, sono le
                  virtù dell’anima innalzate verso il desiderio della pace celeste. Pertanto il principe dei
                  cuochi  abbatte  le  mura  di  Gerusalemme,  perché  mentre  il  ventre  si  distende  per  la
                  ingordigia, le virtù dell’anima vengono distrutte dalla lussuria. Al contrario, se per lo
                  più, la impazienza non scuotesse le menti dei temperanti dalla loro tranquillità, Pietro
                  non direbbe: Sforzatevi di unire la virtù alla vostra fede, e alla virtù la scienza e alla
                  scienza  la  temperanza;  per  aggiungere  subito  oculatamente:  e  alla  temperanza  la
                  pazienza (2 Pt. 1, 5). Ammoni cioè i temperanti ad avere quella pazienza che sapeva
                  mancare  loro.  E  ancora:  se  la  colpa  della  superbia  non  trapassasse  i  pensieri  dei
                  temperanti, Paolo non avrebbe detto affatto: Chi non mangia non giudichi chi mangia
                  (Rom. 14, 3). E poi, parlando ad altri nel restringere il campo dei precetti per coloro che
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