Page 52 - La Regola Pastorale
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7); nel senso cioè che, quando vede l’opportunità, tralasciata la censura del silenzio,
dicendo quanto è conveniente si adopera per l’utilità. E ancora sta scritto: C’è un tempo
per tacere e un tempo per parlare (Qo. 3, 7). Cioè bisogna calcolare con discrezione
l’alternarsi dei momenti diversi, perché la lingua non scorra inutilmente sulle parole
quando dovrebbe invece trattenersi; o non si trattenga pigramente quando potrebbe
utilmente parlare. Ciò che ben considera il salmista dicendo: Poni, Signore, una
custodia alla mia bocca e una porta intorno alle mie labbra (Sal. 140, 3). Infatti non
chiede che gli sia posta una parete davanti alla bocca, ma una porta che, evidentemente,
si apre e si chiude; perciò anche noi dobbiamo imparare con prudenza il momento
opportuno perché la voce apra la bocca con discrezione, e ancora il momento opportuno
perché il silenzio la chiuda. Al contrario, bisogna ammonire coloro che sono sempre
pronti a parlare molto, che siano pronti a rendersi conto di quanto vengon meno alla loro
rettitudine col diffondersi in tante parole. Giacché la mente umana è come l’acqua, che
quando è trattenuta si raccoglie verso l’alto poiché tende a risalire là di dove è scesa, ma
lasciata andare viene meno perché si sparge inutilmente nei luoghi più bassi. Infatti,
ogni volta che la mente si dissipa in vane parole fuori dalla censura del proprio silenzio,
è condotta fuori di sé come per tanti rivoletti. Perciò non è più capace di rientrare in se
stessa, alla conoscenza di sé, perché dispersa nelle molte parole si chiude fuori dal
nascondimento dell’intima meditazione; e si scopre tutta alle ferite del nemico insidioso
perché nessuna protezione la circonda e la custodisce. Perciò è scritto: Come una città
aperta e senza giro di mura, così è l’uomo che non può trattenere il suo animo quando
parla (Prov. 25, 28); giacché la città della mente non possiede il muro del silenzio ed è
aperta alle frecce del nemico, e quando si butta fuori di se stessa attraverso le parole, si
mostra tutta all’avversario. Ed egli la espugna senza fatica tanto più in quanto anche lei
stessa, che viene vinta, combatte contro di sé col suo continuo parlare. Ma per lo più,
poiché la mente negligente è spinta a cadere per gradi, se trascuriamo di guardarci dalle
parole oziose, giungiamo a quelle dannose; così che, prima si gode a parlare degli altri,
poi si morde la vita di coloro di cui si parla, con la detrazione, e infine la lingua rompe
fino alle aperte offese. E di qui si seminano le provocazioni, nascono le risse, si
accendono le fiamme dell’odio, si estingue la pace dei cuori. Perciò, bene è detto per
mezzo di Salomone: Chi lascia andare l’acqua, dà principio alle contese (Prov. 17, 14).
Lasciare andare l’acqua significa abbandonare la lingua allo sproloquio. Al contrario, è
detto ancora in senso buono: Le parole che procedono dalla bocca dell’uomo sono
acque profonde (Prov. 18, 4). Pertanto, chi lascia andare l’acqua dà principio alle
contese perché chi non frena la lingua dissipa la concordia. E perciò in senso inverso è
detto: Chi impone silenzio allo stolto, mitiga le ire (Prov. 26, 10). Che poi colui il quale
è dedito alle chiacchiere non possa mantenere la rettitudine della giustizia, lo attesta il
profeta che dice: L’uomo linguacciuto non va diritto sulla terra (Sal. 139, 12). Perciò,
pure Salomone dice ancora: Nel molto parlare non mancherà il peccato (Prov. 10, 19).
Perciò Isaia dice: Il silenzio è coltivazione della giustizia (Is. 32, 17), significando
chiaramente che la giustizia dell’animo resta desolata se non la risparmia il parlare
smodato. Perciò Giacomo dice: Se qualcuno pensa di essere religioso e non tiene a
freno la sua lingua ma seduce il suo cuore, la sua religione è vana (Giac. 1, 26). Perciò
dice ancora: Ognuno sia pronto ad ascoltare ma lento a parlare (Giac. 1, 19). E di
nuovo, definendo la potenza della lingua, dice: È un male irrefrenabile, piena di veleno
mortifero (Giac. 3, 8). Perciò la Verità stessa ci ammonisce dicendo: Di ogni parola
oziosa che avranno detto, gli uomini dovranno rendere conto il giorno del giudizio (Mt.
12, 36). Ed è oziosa ogni parola che non sia giustificata da una ragionevole necessità o