Page 51 - La Regola Pastorale
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quando persistono a non correggersi nella durezza dei castighi, bisogna blandirli con
una dolce ammonizione, perché non di rado sono le parole miti e le carezze che
trattengono dalle azioni inique quelli che non si lasciano correggere dalle punizioni,
come anche spesso certi malati, che una forte bevanda medicinale non riesce a curare,
vengono risanati da acqua tiepida; e alcune ferite che non possono curarsi incidendo,
guariscono con impacchi di olio. Così il duro diamante che non resta minimamente
scalfito dal ferro, diviene molle nel leggero sangue di capri.
14 — Come bisogna ammonire i taciturni e i chiacchieroni
Diverso è il modo di ammonire coloro che tacciono troppo e coloro che sono sempre
pronti a parlare molto. Bisogna suggerire a coloro che parlano troppo poco che, mentre
vogliono fuggire — in modo poco avvertito — certi vizi, restano nascostamente
implicati in vizi peggiori. Spesso infatti, frenando la lingua oltre misura, devono portare
in cuore un eccessivo peso di parole, e così, tanto più i pensieri ribollono nella mente
quanto più li costringe la custodia forzata di un silenzio privo di discernimento, e si
espandono tanto più ampiamente quanto più si giudicano al sicuro perché non si
mostrano fuori, a chi potrebbe riprenderli. Perciò spesso la mente monta in superbia e
disprezza come deboli coloro che sente parlare; ma mentre chiude la bocca del suo
corpo, non si rende conto di quanto si apre ai vizi col suo insuperbire. Infatti comprime
la lingua e innalza il pensiero e mentre non considera affatto la sua malizia, dentro di sé
accusa tutti tanto più liberamente quanto più lo fa in segreto. Perciò bisogna ammonire
coloro che tacciono troppo, ad adoperarsi con sollecitudine a conoscere non solo come
si debbano mostrare al di fuori, ma anche come si debbano disporre interiormente così
da temere di più l’occulto giudizio divino in seguito ai loro pensieri che il rimprovero
del prossimo in seguito ai loro discorsi. Infatti è scritto: Figlio mio, fa’ attenzione alla
mia sapienza e piega l’orecchio alla mia prudenza per custodire i pensieri (Prov. 5, 1).
Poiché niente in noi è più instabile del cuore, che si allontana da noi ogni qual volta è
trascinato via sull’onda dei cattivi pensieri. Perciò infatti il salmista dice: Il mio cuore
mi ha abbandonato (Sal. 39, 13). E perciò, ritornando in se stesso dice: Il tuo servo ha
trovato il suo cuore per pregarti (2 Sam. 7, 27). Pertanto, il cuore solito a disperdersi, si
ritrova quando il pensiero è frenato dalla vigilanza. Spesso poi, quando coloro che
tacciono troppo patiscono qualche ingiustizia, cadono in un dolore tanto più aspro
quanto meno parlano del dolore che devono sopportare; perché se dicessero
tranquillamente la sofferenza che è stata loro inflitta, il dolore uscirebbe dalla coscienza.
Infatti le ferite chiuse fanno soffrire di più e quando il pus che infiamma dentro viene
espulso, il dolore si apre alla guarigione. Pertanto, coloro che tacciono più del
conveniente devono sapere che non è bene aumentare la forza del dolore tra le
sofferenze che sopportano, per il fatto di trattenersi dal parlare. Bisogna ammonirli a
non tacere al prossimo, se lo amano come se stessi, ciò di cui giustamente lo
rimproverano, giacché con la medicina della parola si concorre alla salute di ambedue:
si frena dalla cattiva azione colui che la compie (cf. Lev. 19, 17), e con l’apertura della
ferita si allevia la fiamma del dolore di colui che la sostiene. Infatti, coloro che si
volgono a guardare i peccati del prossimo e poi trattengono la lingua nel silenzio, è
come se, viste delle ferite, sottraessero ad esse il medicamento, e divengono
doppiamente causa di morte in quanto non hanno voluto curare l’infezione come
avrebbero potuto. Dunque, bisogna frenare la lingua con discrezione e non legarla
indissolubilmente, poiché sta scritto: Il sapiente tacerà fino al tempo opportuno (Sir. 20,