Page 49 - La Regola Pastorale
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con voce umana impedì la stoltezza del profeta (2 Pt. 2, 15). E avviene che un uomo
                  folle  sia  corretto  da  un  giumento  muto,  quando  una  mente  esaltata,  si  ricorda  per
                  l’afflizione  della  carne  di  quel  bene  dell’umiltà  che  avrebbe  dovuto  custodire.  Ma
                  Balaam non ottenne il dono di questa correzione proprio perché, andando per maledire,
                  mutò le parole ma non la mente. Bisogna ammonire i malati a considerare quale grande
                  dono sia la sofferenza del corpo, che scioglie i peccati commessi e impedisce quelli che
                  si sarebbero potuti compiere e, prodotta da piaghe esterne, infligge ferite di penitenza
                  all’animo colpito. Perciò è scritto: Il livido della ferita porta via il male, e così le piaghe
                  nei recessi del ventre (Prov. 20, 30). Infatti il livido della ferita porta via il male perché
                  il dolore delle percosse  scioglie i  pensieri  e le  azioni inique. Con la parola  ventre si
                  suole  intendere  la  mente  perché,  come  il  ventre  consuma  i  cibi,  la  mente  meditando
                  scioglie le preoccupazioni. E che la mente sia detta ventre, lo insegna il proverbio: Lo
                  spirito dell’uomo è lampada del Signore, che scruta tutti i recessi del ventre (Prov. 20,
                  27);  come  se  dicesse:  l’illuminazione  del  soffio  divino,  quando  viene  nella  mente
                  dell’uomo, illuminandola, la mostra a se stessa, essa che prima della venuta dello Spirito
                  Santo poteva portare pensieri cattivi e non sapeva pensare. Pertanto, il livido della ferita
                  porta  via  il  male  e  così  pure  le  piaghe  nei  recessi  del  ventre,  perché  quando  siamo
                  percossi all’esterno, veniamo richiamati, silenziosi e afflitti, al ricordo dei nostri peccati,
                  e riportiamo davanti ai nostri occhi tutto quanto abbiamo compiuto di male; e ciò che
                  patiamo di fuori ci procura maggiormente dolore nell’intimo per ciò che abbiamo fatto.
                  Quindi avviene che più abbondantemente che le ferite aperte del corpo, ci lavi la piaga
                  nascosta  del  ventre,  perché  la  ferita  nascosta  del  dolore  sana  la  malizia  del  cattivo
                  operare.  Bisogna  ammonire  gli  ammalati  a  conservare  la  virtù  della  pazienza,  a
                  considerare incessantemente quanto grandi mali il nostro Redentore sopportò da coloro
                  che aveva creato. Egli sostenne i tanto volgari oltraggi della derisione e degli schemi, lui
                  che rapisce ogni giorno le anime dei prigionieri dalla mano dell’antico nemico, ricevette
                  gli schiaffi degli insultatori; lui che ci lava con l’acqua della salvezza non ritrasse la
                  faccia  dagli  sputi  dei  perfidi;  lui  che  con  la  sua  intercessione  ci  libera  dagli  eterni
                  supplizi, tollerò in silenzio le battiture; lui che ci assegna eterni onori tra i cori degli
                  angeli,  sopportò  i  pugni;  lui  che  ci  salva  dalle  punture  dei  peccati,  non  rifiutò  di
                  sottoporre il capo alle spine; lui che ci inebria in eterno di dolcezza, ricevette l’amarezza
                  del fiele nella sua sete; lui — che pure essendo uguale al Padre per la divinità, lo adorò
                  per  noi  —  adorato  per  irrisione,  tacque;  lui  che  prepara  la  vita  ai  morti,  essendo  lui
                  stesso la vita, giunse fino a morire. Perché allora si giudica crudele che l’uomo sopporti
                  castighi di Dio in cambio dei suoi mali, quando Dio ha sopportato mali tanto grandi
                  dagli uomini in cambio dei suoi beni? O chi può esserci che, sano di mente, sia ingrato
                  per essere stato colpito, se colui che visse in questo mondo, senza peccato, non se ne
                  andò da questo mondo senza castigo?

                  13  —  Come  si  devono  ammonire  coloro  che  temono  i  castighi  e  coloro  che  li
                  disprezzano

                  Diverso è il modo di ammonire coloro che temono i castighi, e perciò conducono una
                  vita innocente, e coloro tanto induriti nell’iniquità che neppure i castighi li correggono.
                  A coloro che temono i castighi bisogna dire che né desiderino come gran cosa i beni
                  temporali dei quali vedono godere anche i cattivi; né fuggano come intollerabili i mali
                  presenti,  poiché  non  ignorano  che  in  questo  mondo  spesso  essi  colpiscono  anche  i
                  buoni. Bisogna ammonirli, se desiderano veramente essere privi di mali, ad avere orrore
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