Page 44 - La Regola Pastorale
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seguito si lasciano fare prigionieri dentro le mura della città? A chi sono simili se non a
                  coloro che una improvvisa e grave malattia non li strappa alla vita, ma li uccide una
                  leggera febbre recidiva? Così bisogna ammonire le persone pazienti a fortificare il loro
                  cuore dopo la vittoria perché il nemico battuto in aperto combattimento non mediti di
                  insidiare  le  mura  del  pensiero;  e  temano  maggiormente  la  malattia  che  riprende  a
                  serpeggiare più insidiosamente, perché il nemico astuto non goda poi dell’inganno con
                  una esultanza tanto maggiore in quanto, ora calpesta i colli dei suoi vincitori che prima
                  si ergevano contro di lui.

                  10 — Come si devono ammonire i benevoli e gli invidiosi

                  Diverso è il modo di ammonire i benevoli e gli invidiosi. Bisogna ammonire i benevoli
                  a gioire dei beni altrui così da desiderare di farli propri. Lodino con vero amore le azioni
                  del  prossimo  così  da moltiplicarle  anche,  imitandole;  perché  se  nella  sosta  della  vita
                  presente assistono alla gara altrui come devoti sostenitori ma insieme come spettatori
                  pigri, non restino, dopo la gara, senza premio quanto pin ora, durante la gara, non hanno
                  faticato; e,  allora, non debbano  guardare afflitti  alle palme di  coloro davanti alle cui
                  fatiche, ora, persistono in ozio. Poiché pecchiamo gravemente se non amiamo ciò che
                  gli altri fanno di bene, ma non traiamo motivo di ricompensa se, per quanto sta in noi,
                  non imitiamo ciò che amiamo. Perciò alle persone benevole bisogna dire che se non si
                  affrettano per nulla ad imitare il bene che approvano con la loro lode, a loro piace la
                  santità delle virtù come agli stolti spettatori piace la vanità delle arti ludiche. Costoro
                  infatti  esaltano  coi  loro  applausi  le  imprese  di  aurighi  e  di  attori  e  tuttavia  non
                  desiderano essere tali quali vedono essere coloro che lodano. Li ammirano per ciò che
                  hanno compiuto di piacevole, tuttavia evitano di piacere allo stesso modo.
                  Bisogna  dire  ai  benevoli  che  quando  guardano  alle  azioni  del  prossimo  rientrino  nel
                  proprio cuore e non si vantino di azioni altrui; non lodino il bene mentre rifiutano di
                  compierlo,  pöiché  tanto  più  gravemente  devono  essere  colpiti  dall’estremo  castigo
                  coloro  a  cui  è  piaciuto  ciò  che  non  hanno  voluto  imitare.  Bisogna  ammonire  gli
                  invidiosi a valutare attentamente la cecità di coloro che vengono meno per il successo
                  degli altri e si struggono per la gioia altrui. Quanto grande è l’infelicità di coloro che
                  diventano peggiori perché vedono migliorare gli altri e, mentre guardano aumentare la
                  fortuna altrui, stretti dall’afflizione in se stessi, muoiono per la peste che hanno nel loro
                  cuore. Che cosa ci può essere di più infelice di costoro che la pena per la constatazione
                  della  felicità  altrui  rende  più  cattivi?  Invero,  se  amassero  i  beni  degli  altri  che  non
                  possono avere per sé, li farebbero propri. Poiché essi sono tutti stabiliti nella fede, come
                  molte  membra  in  un  solo  corpo,  le  quali  sono  certo  diverse  per  la  diversità  delle
                  funzioni, ma per il fatto stesso della loro corrispondenza reciproca diventano una cosa
                  sola (cf. 1 Cor. 12, 12-30). Per cui avviene che il piede vede attraverso l’occhio e gli
                  occhi  camminano  per  mezzo  dei  piedi,  l’ascolto  delle  orecchie  serve  alla  bocca  e  la
                  lingua che sta in bocca concorre con gli orecchi alla propria funzione; il ventre sostiene
                  l’attività delle mani e le mani lavorano per il ventre. Pertanto, è dalla stessa condizione
                  del corpo, che riceviamo ciò che dobbiamo conservare nel nostro agire. E così è troppo
                  vergognoso non imitare ciò che siamo. È certamente nostro ciò che amiamo negli altri
                  anche se non possiamo imitarlo; e ciò che è amato in noi diviene di chi l’ama. Perciò gli
                  invidiosi misurino quanto è grande la potenza della carità che rende nostre senza fatica
                  le  opere  della  fatica  altrui.  E  così  bisogna  dire  agli  invidiosi  che  quando  non  si
                  custodiscono  per  nulla  dall’invidia,  sprofondano  nella  malizia  antica  dello  scaltro
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