Page 42 - La Regola Pastorale
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disprezzo, mettendo in mostra se stesso si gloria con l’ostentazione. Perciò sta scritto: È
                  meglio il paziente dell’arrogante (Qo. 7, 9); poiché evidentemente il paziente preferisce
                  sopportare  qualsiasi  male  piuttosto  di  far  conoscere  con  l’ostentazione  i  suoi  beni
                  nascosti.  L’arrogante,  al  contrario,  preferisce  vantarsi  di  qualche  bene,  anche
                  falsamente, pur di non dover sopportare neppure il più piccolo male.
                  Pertanto, poiché quando si abbandona la pazienza va distrutto anche il resto di bene che
                  si  è  compiuto,  giustamente  in  Ezechiele  si  trova  il  precetto  che  sull’altare  di  Dio  si
                  faccia una cavità perché si conservino gli olocausti che vi stanno sopra (cf. Ez. 43, 13).
                  Infatti se nell’altare non ci fosse la cavità i resti di quel sacrificio sarebbero dispersi dal
                  vento. Ma che cosa dobbiamo intendere per altare di Dio se non l’anima del giusto che
                  pone su di sé, davanti agli occhi di Lui, quanto di bene ha compiuto come sacrificio? E
                  che cos’è la cavità dell’altare se non la pazienza dei buoni che umilia il loro spirito per
                  sopportare  le  avversità  e  lo  mostra  come  adagiato  nel  fondo  di  una  fossa?  Si  faccia
                  dunque  una  cavità  nell’altare,  affinché  il  vento  non  disperda  il  sacrificio  che  vi  sta
                  sopra; cioè, lo spirito degli eletti custodisca la pazienza per non perdere, a causa del
                  vento  dell’impazienza,  anche  ciò  che  di  bene  ha  compiuto.  Ed  è  giusto  che  quella
                  medesima cavità, secondo quanto è descritto, sia di un solo cubito; poiché è naturale che
                  se non si abbandona la pazienza si conserva la misura dell’unità. Per cui anche Paolo
                  dice: Portate a vicenda i vostri pesi, e così adempirete la legge di Cristo (Gal. 6, 2).
                  Poiché la legge di Cristo è la carità dell’unità che compiono solamente coloro i quali,
                  anche quando portano grave peso, non trascendono. Ascoltino gli impazienti ciò che sta
                  scritto: È meglio un paziente che un uomo forte, e chi domina il suo animo pia che un
                  conquistatore di città (Prov. 16, 32). Vale meno infatti una vittoria contro delle città,
                  giacché ciò che in questo caso si sottomette è qualcosa di esterno; ma è molto di più ciò
                  che si vince con la pazienza, poiché è l’anima che si lascia vincere da se stessa e si
                  sottomette se stessa quando la pazienza la spinge a frenarsi dentro di sé. Ascoltino gli
                  impazienti  ciò  che  la  Verità  dice  ai  suoi  eletti:  Nella  vostra  pazienza  possederete  le
                  vostre anime (Lc. 21, 19). Infatti siamo stati creati in modo così mirabile che lo spirito
                  possiede l’anima e l’anima possiede il corpo; ma all’anima è rifiutato il suo diritto di
                  possedere  il  corpo  se  essa  non  è  prima  posseduta  dallo  spirito.  Pertanto  il  Signore,
                  insegnandoci che nella pazienza possediamo noi stessi, ci ha insegnato che la pazienza è
                  custode della nostra condizione naturale. Perciò possiamo conoscere quanto sia grande
                  la  colpa  dell’impazienza  se  per  essa  perdiamo  perfino  il  possesso  di  ciò  che  siamo.
                  Ascoltino  gli  impazienti  ciò  che  ancora  dice  Salomone:  Lo  stolto  sfoga  tutto  il  suo
                  animo, il sapiente invèce attende e lo serba per l’avvenire (Prov. 29, 11). Per l’impulso
                  dell’impazienza  avviene  che  tutto  l’animo  si  sfoghi  al  di  fuori,  ed  è  naturale  che
                  l’agitazione  lo  riversi  all’esterno  poiché  nessuna  sapiente  disciplina  lo  trattiene
                  interiormente. Ma il sapiente attende e lo serba per l’avvenire. Infatti, se viene offeso
                  non desidera vendicarsi subito, poiché anche dovendo sopportare preferisce trattenersi,
                  tuttavia  non  ignora  che  tutto  riceverà  la  giusta  vendetta  nell’ultimo  giudizio.  Al
                  contrario, bisogna ammonire i pazienti a non dolersi interiormente di ciò che sopportano
                  al di fuori, per non corrompere nell’intimo con la peste della malizia l’intensità di quel
                  sacrificio ricco di virtù che immolano interiormente; e la colpa di questo dolore, non
                  riconosciuta come tale dagli uomini, ma peccato di fronte all’esame divino, non divenga
                  tanto  peggiore  proprio  in  quanto  davanti  agli  uomini  pretende  di  passare  per  virtù.
                  Dunque  bisogna  dire  ai  pazienti  che  si  studino  di  amare  coloro  che  sono  costretti  a
                  sopportare, perché se la pazienza non è accompagnata dalla carità, la virtù che ostenta
                  non si muti nella peggiore colpa dell’odio. Perciò Paolo, dopo avere detto: La carità è
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