Page 38 - La Regola Pastorale
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conoscere e non correggere le azioni dei sudditi, mentre non è dormire ma sonnecchiare,
il conoscere ciò che va rimproverato e tuttavia non correggerlo coi giusti rimproveri, per
una specie di pigra noia dello spirito. Ma, sonnecchiando, l’occhio cade nel sonno
profondo, e ciò avviene per lo più quando chi governa non taglia il male che conosce, e
quindi poi, a causa della sua negligenza, può giungere addirittura al punto di non sapere
più riconoscere il peccato commesso dai sudditi. Pertanto, bisogna ammonire coloro che
governano ad avere gli occhi attentissimi, dentro di sé e attorno, attraverso una accurata
vigilanza e ad adoperarsi per divenire animali celesti (cf. Ez. 1, 18): quegli animali
celesti che vengono descritti tutti pieni di occhi di dentro e di fuori (cf. Ap. 6, 6). Ed è
certo cosa degna che tutti quelli che governano abbiano occhi rivolti dentro di sé e
attorno e, mentre cercano di piacere nel loro intimo al Giudice interiore, offrendo
all’esterno esempi di vita scorgano anche ciò che va corretto negli altri. I sudditi poi
vanno ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro superiori, se capita di
vederli fare qualche cosa degna di rimprovero, perché non accada che, mentre
giustamente rimproverano cose malfatte, poi per un impulso orgoglioso, sprofondino in
mali peggiori. Bisogna ammonirli che, quando considerano le colpe dei superiori, non
diventino arroganti verso di loro, ma se si danno di fatto in essi alcune gravi colpe, le
discernano così però da non rifiutarsi, in ogni caso, di portare nei loro confronti il giogo
del rispetto dovuto, costretti a ciò dal timore di Dio. Ciò si dimostra meglio portando
l’esempio di quanto fece David: una volta che Saul, il suo persecutore, era entrato in
una grotta per evacuare, e là c’era David coi suoi uomini — il quale già da lungo tempo
portava il peso della sua persecuzione — questi, poiché i suoi lo incitavano a colpire
Saul, li persuase con la risposta che non si doveva mettere le mani sull’unto del Signore.
Tuttavia si alzò di nascosto e gli tagliò il lembo del mantello (cf. 1 Sam. 24, 4 ss.). Che
cosa rappresenta Saul se non le cattive guide delle anime; e David, se non i buoni
sudditi? Pertanto, Saul che evacua designa i superiori empi che estendono la malizia
concepita nel cuore a compiere opere maleodoranti, e mostrano nell’aperta esecuzione
dei fatti i pensieri colpevoli del loro intimo. E tuttavia David ebbe timore di colpirlo
perché le pie menti dei sudditi che si astengono da ogni pestifera maldicenza non
colpiscono la vita dei superiori, con la spada della loro lingua, anche quando li
rimproverano per la loro imperfezione. E se pure talvolta, per la loro debolezza fanno
fatica ad astenersi dal parlare di certe mancanze dei superiori più gravi e manifeste, e
tuttavia lo fanno umilmente, è come se tagliassero in silenzio l’orlo del mantello; perché
questo mancare verso la dignità del superiore, sia pure senza nuocere e di nascosto,
equivale a rovinare la veste del re costituito su di loro. Ma essi poi rientrano in se stessi
e si rimproverano aspramente perfino di quel leggerissimo taglio operato con la parola.
Perciò si trova giustamente scritto in quel luogo: Dopo ciò David percosse il suo cuore,
per aver tagliato l’orlo del mantello di Saul (1 Sam. 24, 6). Dunque, le azioni dei
superiori non bisogna ferirle con la spada della bocca, anche quando si giudica che sia
giusto rimproverarle. Se però qualche volta la lingua si lascia andare anche per
pochissimo contro di loro, bisogna che il cuore si stringa per il dolore del pentimento
finché rientri in se stesso e, avendo peccato contro l’autorità che gli è preposta, tema
molto il giudizio di colui che gliel’ha preposta. Perché quando pecchiamo contro i
superiori contravveniamo a quella disposizione che ce li ha preposti. Perciò anche
Mosè, quando venne a sapere che il popolo si lamentava contro di lui e contro Aronne,
disse: Che cosa siamo noi? La vostra mormorazione non è contro di noi, ma contro il
Signore (Es. 16, 8).