Page 37 - La Regola Pastorale
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a quel vizio dal quale pensa di essere libero.

                  4 — Come bisogna ammonire i sudditi e i prelati

                  Diverso  è  il  modo  di  ammonire  i  sudditi  e  i  prelati,  affinché  l’assoggettamento  non
                  annienti i primi e la posizione elevata non esalti i secondi. Quelli non compiano meno di
                  ciò che è stato loro ordinato, e questi non ordinino pila di quanto giustamente si può
                  compiere; i primi siano sottomessi umilmente e gli altri presiedano con moderazione.
                  Infatti, per quanto si può anche intendere in modo figurato, ai sudditi viene detto: Figli,
                  obbedite ai vostri genitori, nel Signore; e per i prelati c’è il precetto: E voi, padri, non
                  provocate all’ira i vostri figli (Col. 3, 20-21). I primi imparino come disporre il proprio
                  intimo agli occhi del Giudice occulto; e gli altri come offrire all’esterno esempi di una
                  vita buona anche a coloro che sono stati loro affidati. I prelati, infatti, devono sapere che
                  se commettono azioni perverse sono degni di morire tante volte quanti sono gli esempi
                  di perdizione che essi offrono ai loro sudditi. Perciò è necessario che si custodiscano
                  dalla colpa con una cautela tanto maggiore in quanto non sono soli a morire, a causa
                  delle loro azioni perverse, ma sono rei delle anime altrui che essi hanno distrutto con i
                  loro cattivi esempi. Così occorre ammonire i sudditi, che saranno severamente puniti se
                  non sapranno farsi trovare liberi da colpa, almeno quanto  a  se stessi;  e i  prelati,  che
                  saranno giudicati degli errori dei sudditi anche se essi si sentono tranquilli per quanto li
                  riguarda  personalmente.  I  sudditi  abbiano  una  cura  tanto  pila  sollecita  del  proprio
                  dovere  in  quanto  non  devono  preoccuparsi  degli  altri;  ma  i  prelati  provvedano  agli
                  interessi altrui senza tralasciare di curare i propri, e per questi siano ferventi e solleciti
                  come in nulla devono essere pigri a custodire quanti sono stati loro affidati.  Infatti a
                  colui  che  deve  provvedere  solo  a  se  stesso  viene  detto:  Va’  dalla  formica,  pigro,  e
                  considera  le  sue  vie  e  impara  la  sapienza  (Prov.  6,  6);  ma  all’altro  viene  fatta  una
                  terribile ammonizione quando gli è detto: Figlio mio, ti sei impegnato per il tuo amico,
                  hai dato la tua mano a un estraneo e ti sei preso al laccio con le parole della tua bocca
                  e sei prigioniero dei tuoi propri discorsi (Prov. 6, 1). Infatti, impegnarsi per un amico
                  equivale a prendere su di sé l’anima di un altro a rischio della propria vita; per questo
                  poi si dà anche la mano a un estraneo, perché l’animo si lega a una preoccupazione e a
                  una sollecitudine che prima non aveva. Ed egli è preso al laccio dalle parole della sua
                  bocca e prigioniero dei propri discorsi, perché mentre è costretto a dire cose buone a
                  coloro che gli sono stati affidati è necessario che prima egli stesso custodisca ciò che
                  dice, ed è quindi  propriamente preso  al  laccio  dalle parole della sua bocca quando  è
                  costretto  dalla  coerenza  a  non  abbandonarsi  a  una  vita  diversa  da  quanto  egli  va
                  insegnando.  E  perciò  presso  il  severo  Giudice  egli  è  costretto  ad  adempiere,
                  praticamente,  tutto  quanto  risulta  che  egli  ha  imposto  agli  altri  a  parole.  Segue  poi
                  subito e opportunamente l’esortazione: Dunque, fa’ quanto ti dico, figlio mio, e liberati
                  poiché sei caduto nelle mani del tuo prossimo, corri, affrettati, sveglia il tuo amico, non
                  dare sonno ai tuoi occhi, non sonnecchino le tue palpebre (Prov. 6, 3-4). Chi infatti è
                  preposto agli altri come esempio di vita è ammonito non solo a vegliare lui stesso ma
                  anche a svegliare l’amico. Giacché non basta, perché la sua vita sia buona, che vegli, se
                  non separa dal torpore del peccato anche colui a cui presiede. Ed è detto bene: Non dare
                  sonno ai tuoi occhi, non sonnecchino le tue palpebre. Dare sonno agli occhi significa
                  trascurare  affatto  la  cura  dei  sudditi  cessando  l’attenzione  per  loro.  E  le  palpebre
                  sonnecchiano quando i nostri pensieri sanno che cosa bisogna rimproverare ai sudditi
                  ma lo dissimulano, resi indolenti dalla pigrizia. Infatti, dormire profondamente è non
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