Page 43 - La Regola Pastorale
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paziente,  aggiunge  subito:  La  carità  è  benigna  (1  Cor.  13,  4),  volendo  mostrare
                  chiaramente  che  essa  non  cessa  di  amare  con  benignità  coloro  che  sopporta  con
                  pazienza.
                  Perciò il medesimo egregio maestro, esortando i discepoli alla pazienza con le parole:
                  Ogni asprezza e ira e sdegno e clamore e ingiuria sia tolta da voi (Ef. 4, 31), come
                  dopo averli già tutti ben disposti esteriormente, si rivolge al loro intimo e aggiunge: con
                  ogni malizia; poiché, evidentemente, invano si toglie all’esterno lo sdegno, il clamore e
                  l’ingiuria se nell’intimo domina la malizia madre dei vizi; e invano si incide al di fuori
                  dei  rami  il  male  se  esso  si  conserva  nell’intimo  della  radice,  pronto  a  riaffiorare
                  moltiplicato. Perciò la Verità stessa dice: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro
                  che vi odiano e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano (Lc. 6, 27-28).
                  Dunque è virtù davanti  agli uomini  sopportare i nemici,  ma davanti a  Dio la virtù  è
                  amarli, poiché Dio accoglie soltanto quel sacrificio che la fiamma della carità accende
                  davanti ai suoi occhi sull’altare delle buone opere. Perciò dice ancora ad alcuni pazienti
                  ma non caritatevoli: Perché vedi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non vedi la
                  trave nel  tuo  occhio? (Mt. 7, 3),  significando che il turbamento dell’impazienza è la
                  pagliuzza, ma la malizia in cuore è la trave nell’occhio. Infatti il soffio della tentazione
                  agita  il  filo  di  paglia,  ma  la  malizia  consumata  porta  la  trave  quasi  senza  scosse.  E
                  giustamente in quel passo si prosegue: Ipocrita, getta via prima la trave dal tuo occhio
                  e allora ci vedrai per gettare la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello (Mt. 7, 5), come
                  se dicesse all’anima malvagia che si rode interiormente e all’esterno invece si mostra
                  santa per la pazienza: prima fa’ uscire da te la tua pesante malizia e poi rimprovera agli
                  altri la loro leggera impazienza, affinché il tollerare i peccati altrui non sia per te peggio,
                  se non ti sforzi  a vincere lo  spirito di  simulazione. Suole anche accadere spesso alle
                  persone  pazienti  che,  proprio  nel  momento  in  cui  o  sopportano  avversità  o  ricevono
                  ingiurie, non si sentano spinte da nessun risentimento e mostrino così una pazienza tale
                  che permette loro di conservare anche l’innocenza del cuore. Ma quando, passato un po’
                  di tempo, richiamano alla memoria ciò che hanno dovuto sopportare, accendono in sé il
                  fuoco  del  risentimento  e  vanno  a  cercare  gli  argomenti  per  vendicarsi;  e  con  questa
                  intima  ritrattazione  mutano  in  malizia  la  mansuetudine  che  avevano  conservato  nella
                  pazienza. Allora il maestro li soccorre ben presto se gli manifesta la causa di questo
                  mutamento. Infatti l’astuto avversario muove guerra contro due tipi di persone: uno lo
                  accende  spingendolo  ad  offendere  per  primo,  l’altro  lo  provoca  a  restituire  l’offesa
                  ricevuta;  mentre  riesce  subito  vincitore  sul  primo  che  si  è  lasciato  persuadere
                  all’ingiuria, resta poi vinto da colui che porta tranquillamente l’offesa ricevuta. Pertanto,
                  vincitore del primo che è riuscito a soggiogare agitando il suo animo, si erge con tutta la
                  sua potenza contro l’altro e si irrita che questi gli resista con forza e vinca; ma poiché
                  non  poté  turbarlo  nell’attimo  stesso  in  cui  riceveva  l’ingiuria,  rinunciando  per  il
                  momento  alla  lotta  aperta  e  attaccando  il  suo  pensiero  con  una  suggestione  segreta,
                  cerca  il  tempo  adatto  per  trarlo  in  inganno.  Infatti  ha  perduto  nel  pubblico
                  combattimento e arde di esercitare nascostamente le sue insidie.  Così, nel  tempo del
                  riposo, ritorna all’animo del vincitore e gli richiama alla memoria le perdite materiali
                  subite o le ferite delle ingiurie, e maggiorando grandemente quanto di male gli è stato
                  inflitto  glielo  mostra intollerabile e  gli turba la  mente con tanta tristezza, che spesso
                  l’uomo  paziente,  divenuto  prigioniero  dopo  la  vittoria,  arrossisce  di  avere  sopportato
                  tranquillamente  quelle  offese,  si  duole  di  non  averle  ricambiate  e  cerca,  se  si  offra
                  l’occasione, di renderne di peggiori. A chi dunque sono simili costoro se non a quelli
                  che per la loro forza riescono vincitori in campo aperto, ma per la loro negligenza in
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