Page 50 - La Regola Pastorale
P. 50

degli eterni supplizi; non restino però in questo timore dei supplizi, ma nutrendosi di
                  carità crescano fino alla grazia dell’amore, poiché sta scritto: La carità perfetta caccia il
                  timore (1 Gv. 4, 18). Ed è ancora scritto: Non avete ricevuto spirito di servitù ancora
                  per il timore, ma spirito di adozione a figli nel quale gridiamo: Abbà, Padre (Rom. 8,
                  15). Perciò il medesimo maestro dice ancora: Dove è lo Spirito del Signore, là c’è la
                  libertà (2 Cor. 3, 17). Dunque, se è il terrore della pena che trattiene dal commettere il
                  male, non è certo la libertà di spirito a possedere l’animo di colui che è atterrito. Infatti,
                  se non temesse la pena non c’è dubbio che commetterebbe la colpa. E  così il cuore,
                  legato dalla schiavitù della paura, ignora la grazia della libertà, poiché il bene si deve
                  amare per se stesso e non sono le pene che devono spingere a compierlo. Infatti, chi fa il
                  bene perché teme il male dei castighi, vorrebbe solo che non esistesse ciò che teme per
                  potere osare di compiere ciò che è lecito. Da cui risulta più chiaramente che si perde
                  l’innocenza  davanti  a  Dio  poiché  si  pecca  di  desiderio  davanti  ai  suoi  occhi.  Al
                  contrario,  coloro  che  neppure  i  castighi  trattengono  dall’iniquità,  vanno  colpiti  con
                  rimprovero  tanto  più  aspro  quanto  maggiore  è  l’insensibilità  del  loro  indurimento.
                  Spesso  infatti  occorre respingerli,  pur senza disprezzo, e lasciare che  la  disperazione
                  incuta il terrore  e quindi  subito  l’ammonizione li riporti alla speranza.  Così, bisogna
                  pronunciare severamente contro di loro le sentenze divine, perché siano richiamati alla
                  coscienza di sé dalla considerazione del supplizio eterno. Ascoltino che si è compiuto
                  contro di loro ciò che sta scritto: Se pestassi lo stolto nel mortaio come grani d’orzo
                  sotto  i  colpi  del  pestello,  non  verrebbe  tolta  da  lui  la  sua  stoltezza  (Prov.  27,  22).
                  Contro costoro il profeta si volge con lamenti al Signore, dicendo: Li hai stritolati ed
                  hanno rifiutato di accogliere la correzione (Ger. 5, 3). Ed è ciò che dice il Signore: Ho
                  ucciso e distrutto questo popolo e tuttavia non si sono ritratti dalle loro vie (Ger. 15, 7).
                  E poi di nuovo dice: Il popolo non è ritornato a colui che lo percuote (Is. 9, 13). Quindi,
                  con la voce dei castigatori, il profeta si lamenta dicendo: Abbiamo curato Babilonia ma
                  non è guarita (Ger. 51, 9). Si intende che Babilonia viene curata e tuttavia non guarisce,
                  quando il cuore turbato dal cattivo operare ode le parole della correzione, ne riceve i
                  castighi e tuttavia trascura di ritornare al retto cammino della salvezza. Perciò il Signore
                  rimprovera il popolo di Israele prigioniero e tuttavia non convertito dalla sua iniquità,
                  dicendo: La casa di Israele si è mutata per me in scoria: tutti costoro sono rame stagno
                  ferro  e  piombo  dentro  la  fornace  (Ez.  22,  18).  Come  se  dicesse  apertamente:  Volli
                  purificarli col fuoco della tribolazione e cercai di farli diventare oro e argento, ma mi
                  sono riusciti rame stagno ferro e piombo, perché anche nella tribolazione si sono buttati
                  nei vizi e non nella virtù. Rame, perché quando lo si percuote dà suono più ampio degli
                  altri  metalli;  pertanto  colui  che  sotto  i  colpi  che  riceve  rompe  nel  suono  della
                  mormorazione risulta rame dentro la fornace. Lo stagno, invece, trattato con arte, prende
                  l’aspetto  dell’argento  e  pertanto,  chi  nella  tribolazione  non  si  astiene  dal  vizio  della
                  simulazione diventa stagno nella fornace. Chi insidia alla vita del prossimo si serve del
                  ferro, e così è ferro nella fornace chi, pure nella tribolazione, non perde la malizia di
                  nuocere. E c’è anche il piombo che è il più pesante degli altri metalli; e nella fornace si
                  rivela piombo colui che è tanto oppresso dal peso del suo peccato che, anche posto nella
                  tribolazione non si solleva dai suoi desideri terreni. Perciò ancora è scritto: Con molta
                  fatica si sudò e non usci da essa tutta la sua ruggine, neppure col fuoco (Ez. 24, 12).
                  Cioè, ci invia il fuoco della tribolazione per purgarci dalla ruggine dei vizi, che è in noi;
                  ma  non  perdiamo  la  ruggine  neppure  col  fuoco  quando,  pure  tra  i  castighi,  non  ci
                  asteniamo dal vizio. Perciò il profeta dice ancora: Invano li ha fusi il fonditore: le loro
                  malizie  non  si  sono  consumate  (Ger.  6,  29).  Ma  bisogna  anche  sapere  che  spesso,
   45   46   47   48   49   50   51   52   53   54   55