Page 25 - La Preghiera
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consideriamo ora quello che la preghierainsegna.
CAPITOLO XXII
Liberi di chiamarlo Padre
1. «Padre nostro che sei nei cieli». Converrebbe esaminare piuttosto a fondo il cosiddetto Antico
Testamento semmai vi si può trovare la preghiera di uno che chiami Dio con il nome di Padre.
Noi, almeno per ora, per quanto cercammo, non abbiamo trovato. Non vogliamo dire che Dio
non venga chiamato Padre o che coloro i quali si sono accostati alla Parola di Dio non siano
chiamati figli di Dio, ma nel senso che nella preghiera non abbiamo in alcun modo trovato
quella libertà di parola dimostrata dal Salvatore nel chiamare Dio: Padre. In molti passi del
Deuteronomio, per esempio, si parla di Dio come di un padre e di coloro che si accostarono alla
parola di Dio come di figli: «abbandonasti Dio che ti generò e ti dimenticasti di Dio che ti nutrì».
E ancora: «non è proprio egli il tuo padre che ti possedette, ti fece e ti creò»? E di nuovo: «Figli
quelli in cui non c’è fede». In Isaia: «nutrii dei figli e li esaltai; ma essi mi disprezzarono». Ed in
Malachia: «Il figlio onorerà il padre ed il servo il suo padrone. E se io sono padre, dov’è l’onore
a me dovuto? E se sono Signore, dov’è il mio timore?».
La figliolanza in Cristo
2. Se quindi Dio è chiamato Padre, e figli coloro che sono stati generati dalla parola della fede in
Lui, pure non è possibile trovare presso gli antichi il concetto di una figliolanza vera e stabile.
Gli stessi luoghi che abbiamo citato, quindi, dimostrano che quelli che si dicono figli sono
sottomessi, poiché secondo l’Apostolo «fin tanto che l’erede è fanciullo, non differisce in nulla
dal servo, benché sia padrone di tutto ma è sotto tutori e curatori fino al tempo prestabilito dal
padre» peccare perché è nato da Dio».
Il vero figlio è senza peccato
3. Se certo abbiamo compreso che cosa significhi quel che è scritto in Luca, cioè: «quando
pregate dite: Padre…», temeremo, se non siamo figli legittimi, di profferire questa parola a Lui,
affinché non diventiamo colpevoli oltre agli altri nostri peccati anche dell’accusa di empietà.
Ecco ciò che voglio dire. Scrive Paolo nella prima lettera ai Corinti: «nessuno può dire – Signore
Gesù, se non per lo Spirito Santo, e nessuno, parlando per lo Spirito di Dio dice – Anatema a
Gesù». Egli chiama con lo stesso nome lo Spirito Santo e lo Spirito di Dio. Che cosa significhi
però «dire per lo Spirito Santo: Signore Gesù» non è del tutto chiaro, poiché migliaia di ipocriti
e ancor più di eterodossi e talora i demoni, sopraffatti dalla potenza insita in questo nome,
usano questa parola. Nessuno pertanto oserà affermare che qualcuno di tutti questi pronunzi il
nome del Signore Gesù nello Spirito Santo. Perciò non potrebbero dire: Signore Gesù, perché lo
dicono solo dal fondo del cuore coloro che servono il Verbo di Dio e non proclamano oltre a Lui
nessuno Signore nelle loro azioni. Se tali sono dunque quelli che dicono: «Signore Gesù», forse
chiunque pecca, con la sua trasgressione, bestemmiando il Verbo divino, grida per mezzo delle
opere: «Anatema Gesù!». Chi dunque appartiene a questa schiera dice: «Signore Gesù», e chi
non si comporta come lui: «Anatema Gesù!»; similmente «chiunque è nato da Dio e non
commette peccato», perché partecipa del seme di Dio che distoglie da ogni peccato, dice con la
sua vita: «Padre nostro che sei nei cieli». E «lo stesso Spirito testimonia insieme a loro che sono
figli di Dio e suoi eredi e coeredi di Cristo», poiché «avendo sofferto con lui, sperano bene di
essere anche glorificati con lui». Perciò non diranno soltanto a metà «Padre nostro» costoro, il
cui cuore – fonte e principio delle opere buone – «anche per mezzo delle opere crede per
ottenere la giustizia, e la cui bocca fa confessione per esser salvati».
La filiazione come immagine dell’immagine
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