Page 24 - La Preghiera
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cospetto del Signore Iddio».

                  Il nascondimento nella preghiera

                  2. Prestiamo particolare attenzione alle parole «per esser visti», poiché nessuna cosa è bella solo
                  per  l’apparenza,  come  se  esistesse  solo  in  apparenza  e  non  nella  realtà.  Ingannando
                  l’immaginazione non ci rappresenta l’oggetto fedelmente e realmente. Come nei teatri gli attori
                  drammatici non sono quello che dicono né quello che appaiono dalla maschera loro imposta,
                  così anche tutti quelli che simulano colle apparenze la rappresentazione della bellezza non sono
                  giusti, ma sono i buffoni della giustizia, che interpretano da soli la loro parte nel proprio teatro
                  che  sono  le  sinagoghe  e  gli  angoli  delle  piazze.  Chi  invece  non  è  ipocrita  ma,  deposto  ogni
                  estraneo manto, si prepara ad esser gradito nel suo teatro di gran lunga migliore di ogni altro,
                  entra nella propria cameretta, dove, oltre alla ricchezza accumulata, ha rinchiuso un tesoro di
                  sapienza e di scienza. E non guardando affatto fuori, né stando a contemplare le cose esteriori,
                  chiusa ogni porta dei sensi onde non esser tratto dalle sensazioni né dalla loro immagine ad
                  aver oppressa la mente, prega il Padre che vede e non abbandona questo segreto tabernacolo,
                  anzi vi pone  la sua dimora insieme all’Unigenito. Dice infatti:  «Io e  il Padre verremo a lui e
                  faremo dimora presso di lui». È chiaro che, se preghiamo in questo modo, intercederemo non
                  solo presso il giusto Iddio ma anche presso Dio come Padre che non ci abbandona, essendo suoi
                  figli,  ma  è  presente  nel  nostro  nascondimento  e  volge  ad  esso  lo  sguardo  ed  accresce  la
                  ricchezza della nostra cameretta, purché ne abbiamo chiusa la porta.

                                                     CAPITOLO XXI

                  La loquacità, nemica della preghiera

                  1. Pregando, tuttavia, non usiamo troppe parole, ma quelle che si confanno a Dio. E diciamo
                  troppe  parole  quando,  non  esaminando  noi  stessi  o  i  termini  della  preghiera  che  facciamo,
                  parliamo delle cose corruttibili o di discorsi e pensieri bassi, biasimevoli, lontani dalla purità del
                  Signore. Colui che nel pregare dice troppe parole è già nella disposizione peggiore di quelli che
                  abbiamo detto appartenere alle sinagoghe ed in una via più pericolosa degli angoli delle piazze;
                  poiché egli non conserva traccia di bene, anche se simulasse. Dicono troppe parole, nel senso
                  inteso  dal  Vangelo,  soltanto  i  pagani  che  non  hanno  l’idea  delle  cose  grandi  e  celesti  da
                  domandare, elevando tutte le preghiere per cose materiali ed esteriori; è simile perciò al pagano
                  che dice troppe parole colui che chiede le cose terrene al Signore che abita nei cieli e più in alto
                  dei cieli.

                  Pregare bene per ottenere il vero bene

                  2. Chi dice molte parole pare che assomigli a chi dice vane parole e viceversa; senonché nulla in
                  natura e nei corpi è tutt’uno, ma ciò che si crede costituisca un tutt’uno ha perduto la sua unità
                  e viene scisso, diviso e distribuito in parecchie parti. Ora, un tutt’uno  è il bene, ma ciò che è
                  turpe costituisce pluralità; una cosa sola è la verità, molte cose il falso; integra è la vera giustizia,
                  ma molte forme la simulano; unica è la sapienza di Dio, ma molte quelle «di questo secolo e dei
                  principi  di  questo  secolo,  che  stanno  per  essere  annientati»;  ed  una  la  parola  di  Dio,  molte
                  quelle estranee a Dio. Perciò nessuno «con il molto parlare» eviterà «il peccato» e nessuno «che
                  crede, per il suo molto dire, d’essere ascoltato» può venire ascoltato. Non diventiamo dunque
                  simili con il nostro pregare ai pagani che dicono vane o troppe parole o fanno qualunque cosa
                  «a somiglianza del serpente». Sa infatti il Dio dei santi, essendo Padre, di che hanno bisogno i
                  suoi  figli,  perché  ciò  è  degno  del  pensiero  di  un  padre.  Se  qualcuno  poi  ignora  Dio  e  non
                  conosce  le  cose  di  Dio  non  sa  neppure  ciò  di  cui  necessita.  Infatti  le  cose  peccaminose  sono
                  riservate a coloro che pensano di averne bisogno. Ma chi ha meditato sui beni che sono migliori
                  e più divini di quelli di cui è bisognoso, poiché Dio li conosce, da Lui li otterrà. Infatti sono noti
                  al Padre anche prima di domandarli. Ciò premesso su quanto precede la preghiera di Matteo,




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