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appunto son quasi tutti gli avvenimenti narrati dai libri dell’Antico Testamento. Chi
infatti oserà dire che una qualche narrazione ivi contenuta non rientri fra le prefigurazioni
simboliche? In tal senso anche l’Apostolo dice che i figli di Abramo raffigurano i due
Testamenti, sebbene essi fossero nati e vissuti secondo l’ordine naturale con cui si
propaga una stirpe, come è facilissimo rilevare. Non nacquero infatti in modo tale da
poter essere presi come portenti o esseri straordinari, e così indurre l’animo di qualcuno
ad attribuire loro un valore simbolico. Lo stesso diciamo di quel dono stupendo conferito
da Dio al popolo d’Israele, quando lo liberò dalla schiavitù che l’opprimeva in Egitto, e
dei castighi con cui lo punì per i peccati commessi durante la traversata [del deserto],
sebbene Paolo affermi che ciò avveniva con valore di simbolo. Quali fatti dunque potrai
tu trovare per considerarli una eccezione a questa regola e sui quali oserai affermare con
sicurezza che non si possono prendere come una figura? Esclusi pertanto questi
avvenimenti, gli altri, cioè le opere dei santi del Nuovo Testamento nelle quali c’è un
richiamo chiarissimo perché ne imitiamo la condotta, vanno presi come esempi per
comprendere quei passi delle Scritture che contengono precetti.
Porgere l’altra guancia.
15. 27. Leggiamo nel Vangelo: Hai ricevuto uno schiaffo? Presenta l’altra guancia.
Orbene, della pazienza noi non troviamo un esempio più forte e sublime di quello datoci
dal Signore stesso; eppure egli, quando fu schiaffeggiato non disse: «Eccoti l’altra
guancia», ma: Se ho parlato male rimproverami del male; se invece ho parlato bene
perché mi percuoti? Con ciò dimostra che l’offerta dell’altra guancia è da farsi nel cuore.
È questa una cosa di cui anche l’apostolo Paolo era ben cosciente. Infatti quando fu preso
a schiaffi dinanzi al pontefice non disse: «Percuoti anche l’altra guancia», ma: Il Signore
ti percuoterà, o muro imbiancato! Tu [che] siedi per giudicarmi secondo la legge, e
contro la legge mi fai colpire di percosse... Egli penetrava a fondo nella realtà che il
sacerdozio giudaico era ormai diventato tale che, mentre all’esterno rifulgeva per il titolo,
all’interno s’era insudiciato con desideri di fango. Dicendo quelle parole, egli illuminato
dallo Spirito prevedeva che quell’istituzione sotto i colpi dell’ira divina stava per
tramontare; eppure aveva il cuore pronto non solo a ricevere altri schiaffi per amore della
verità ma anche a sopportare ogni genere di tormenti, amando sempre coloro da cui li
riceveva.
Evitare il giuramento.
15. 28. Sta scritto ancora: Io però vi dico di non giurare in alcun modo; eppure l’Apostolo
nelle sue lettere ricorre al giuramento, mostrando in tal modo come si debbano intendere
le parole: Vi dico di non giurare in alcun modo. Significano che non deve succedere che a
forza di giurare si passi alla facilità nel far uso del giuramento, dalla facilità nel giurare
all’abitudine, e dall’abitudine si scivoli poi nello spergiuro. Per questo non si trova che
Paolo abbia giurato altrove fuorché nei suoi scritti: qui infatti un’attenta considerazione
impedisce alla lingua d’uscire in espressioni incontrollate. Con ciò egli si teneva lontano
dal male, di cui è detto: Il di più viene dal male: non il male proprio certamente ma della
fragilità di coloro nei quali anche in questo modo si sforzava di generare fiducia. Che egli
abbia proferito giuramenti anche quando parlava e non scriveva, non so se la Scrittura ce
ne dia una qualche notizia. Quanto invece al Signore, siccome egli dice di non giurare in
alcun modo, nemmeno a chi scrive permette di giurare. Ma anche riguardo a Paolo, è
delitto affermare che egli abbia colpevolmente trasgredito un comando [del Signore],
Agostino – Menzogna pag. 20 di 30