Page 86 - La Grazia della Contemplazione
P. 86
lui quando la chiama. Dev’essere trovata sempre pronta e sempre sollecita,
perché quand’egli venga all’improvviso, non la trovi meno bella e meno ornata
o perché non debba inquietarsi, d’una lunga attesa. Sono parole brutte e molto
pesanti perché ha un grande desiderio. Manda, rimanda, manda, rimanda; aspetta,
ancora aspetta, aspetta, ancora aspetta; ancora un po’; ancora un po’ (Is. 28,10), sono
le parole dell’anima pigra, tiepida, poco attenta e molto ingrata.
Che cosa dice l’anima, trovata nelle sue macchie, quando si duole dell’esser
prevenuta dalla venuta inopinata dello sposo e arrossisce di essere amata, meno
bella? Certo, dice, avrei dovuto conoscere prima la tua venuta per accoglierti
con solennità e perché potessi correrti incontro con la dovuta celerità.
Annunciami in anticipo la tua venuta e informami dell’ora. Fammi sapere
prima che cosa tu vuoi che io faccia. Ci sia un messo che tra me e te, mi istruisca
d’ogni cosa, non solo riguardo a me, ma anche riguardo a te. Mi insegni come si
stia accanto a te e che cosa ti piacerà di me. Manda e rimanda; annunzia e
nuovamente annunzia. Ma non conviene agli amanti ignorare i reciproci
desideri e non basta ascoltare una sola volta con l’animo inquieto per l’ardente
desiderio.
Forse molto ama, molto desidera l’anima che va chiedendo con petulanza
importuna un nunzio tra lei e lo sposo. Vediamo dunque cosa fa. Ecco, secondo
il suo desiderio molti messaggeri sono mandati e rimandati e talvolta segue le
loro istruzioni per poter godere degli amplessi e scaldarsi nel reciproco amore.
Ecco e già alle porte, ecco già bussa alle porte. Ecco la voce dello sposo tuo che
batte: Apri, sorella mia, amica mia, colomba mia, immacolata, il mio capo è pieno di
rugiada, e miei riccioli di gocce e della notte (Cant. 5,2). Che vantaggio ne viene
dall’aver mandato’ avanti i messaggeri, se poi lo sposo trova la porta chiusa?
Alla voce dello sposo, perché almeno non ti alzi subito e non apri per gettarti
nelle sue braccia? Mi sono levata la tunica. Perché indossarla ancora? Mi son lavati i
piedi. Perché sporcarli ancora? (Cant. 5,3). Aspetti dunque un poco, se vuole che lo
accolga; egli bussa chiedendo di entrare e tu dici: Aspetta. Bussa ancora e tu
dici: Aspetta di nuovo. Che c’è di grave, dici, se aspetta un poco? Temo che
questo poco tu lo protragga per lungo tempo, fino a quando stancato della
lunga attesa se ne vada. Lo manifestano la tua voce e il tuo tardo lamento. Aprii
il paletto della porta al mio diletto, ma lui era già andato (Cant. 5,6). Ma ecco di
nuovo torna, non considerando l’offesa di prima e sta dietro il muro, guarda
attraverso le finestre e il cancello. Lo senti chiamare tu che avresti voluto
accoglierlo, quando bussava. Ecco il tuo sposo; ti dice: sorgi in fretta, amica mia,
colomba mia, bellissima mia e vieni (Cant. 2,10). Perché non sorgi subito, perché
non corri, perché non lo accogli e non scambi baci? Perché ancora dici: Aspetta?
Ecco ancora aspetta e ancora chiama: Sorgi, sposa mia e amica mia, e vieni dal cavo
della rupe nei nascondigli delle balze scoscese (Cant. 2,14). E cosa rispondi tu?
Aspetta ancora un poco. Anima ingrata e duro cuore, fino a quando rattristi il
tuo amico, fino a quando stanchi il tuo sposo; bussa e non vuoi aprire; chiama e
non vuoi uscire. Bussa una volta e ancora e tu gli dici di aspettare, di aspettare
ancora un poco e un altro poco.
Un po’ in un luogo, un po’ in un altro, un po’ qui. Il tuo sposo è costretto a fare