Page 82 - La Grazia della Contemplazione
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ultimi generi di contemplazione
Senza dubbio i cherubini di cui abbiamo parlato coprono abbastanza i lati del
propiziatorio se non cessano di tenere bene aperte le ali. Che cosa significa
aprire le proprie ali se non aspirare sempre e dovunque alla divina ricerca e
rimanere sempre in essa? Certo gli uccelli, quando vogliono volare, distendono
le loro ali. Così dobbiamo estendere le ali del nostro cuore per mezzo del
desiderio e aspettare in ogni ora, anzi, in ogni momento, che il vento della
rivelazione abbia spazzato via le nubi della nostra mente, e allontanata ogni
caligine, abbia scoperto i raggi del vero sole. La mente, aperte le ali della sua
contemplazione, si elevi volando verso le cose più alte e, fissato lo sguardo in
quella luce eterna che irraggia dall’alto l’aquila nel suo volo, superi le nubi della
mondana mutevolezza. Direi che segue pienamente il comando divino e, aperte
le ali, si libra in alto quegli che, ricevuta tale grazia, cerca di elevare il suo volo,
per quanto può verso questi due generi di contemplazione, affinché, quando
sopraggiunga il tempo del divino beneplacito, sia pronto, egli che deve essere
ammesso alla visione dei segreti divini. Dobbiamo infatti tendere non solo. a ciò
che possiamo raggiungere in questa vita, ma anche a quella visione che
speriamo per la vita futura e, in tale attesa, anelare a essa con forte desiderio.
Per questo ci è data tale grazia, per questo ci viene infusa l’intelligenza delle
cose eterne, affinché sappiamo che instancabilmente dobbiamo cercare e
desiderare con amorosa attenzione. Invano cresce con noi l’abbondanza della
divina conoscenza, se non aumenta in noi la fiamma del divino amore. Deve
dunque, in noi, crescere il diletto in ragione della conoscenza e crescere la
conoscenza in ragione del diletto, e ogni vantaggio dell’una cosa deve servire al
vantaggio dell’altra. Deve dunque l’anima perfetta e assiduamente volta alla
contemplazione della suprema realtà, aspettare in ogni momento la fine del suo
peregrinare e l’uscita dall’ergastolo perché possa finalmente vedere faccia a
faccia ciò che ora vede in enigma e come nello specchio. Per questo Abramo
sedeva nella soglia della sua tenda (Gn. 18), per questo Elia stava nella soglia
della sua grotta (3 Re 19) ed entrambi erano pronti a uscire, nell’attesa della
venuta del Signore. Entrambi aspettavano il Signore, uno nella tenda, l’altro
nella caverna, ma entrambi erano sulla soglia, l’uno in piedi, l’altro seduto. Ci si
rende conto, da ciò, che l’uno stimava questa vita una miseria, l’altro una
milizia, che stimavano il peregrinare di questo mondo l’uno un carcere, l’altro
una spedizione. Alcuni si considerano come in una spelonca e stimano la carne
come un ergastolo, mentre sopportano con fastidio a molestia di questa vita.
Altri fanno del loro corpo una tenda e si preparano a servire nell’esercito del
Signore, e accettano con buona pazienza di vivere, affinché ciò serva al
guadagno di Dio. L’uno vive con impazienza, l’altro con pazienza, poiché l’uno
teme per sé, l’altro si volge ai guadagni divini. L’uno sta in piedi e molto fatica,
l’altro sta seduto, e quasi non sente fatica e, come non curando, aspetta la
venuta del Signore. L’uno e l’altro sono comunque sulla soglia, pronti a uscire.
Per tacere di coloro che vivono volentieri dentro la loro tenda, se non anzi