Page 85 - La Grazia della Contemplazione
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introduciamo il volto di Dio posto fuori di noi, talvolta non lo introduciamo.
Infatti si legge che Abramo, dopo essere uscito la seconda volta, non ricondusse
il Signore. Vi sono infatti delle cose che trascendono l’umana ragione e che non
possono essere da questa ricercate e tuttavia non sono, come s’è detto, fuori
della ragione. Quando dunque impariamo qualcosa nel trascendimento della
mente, riportiamo in noi la visione avuta sopra di noi, se scopriamo con la
ragione ciò che prima abbiamo intuito per mezzo della rivelazione. Ma vi sono
delle cose che stanno oltre la ragione e fuori della ragione, che vengono apprese
per mezzo della rivelazione, nell’estasi; di esse non possiamo cogliere la
ragione, una volta che siamo ritornati a noi, nell’ambito d’ella umana
dimensione e ne lasciamo come fuori la conoscenza raggiunta nella visione,
semplicemente ne conserviamo un certo ricordo. Dice la Scrittura: Il Signore se
ne andò, dopo che ebbe parlato ad Abramo, ed egli tornò nella sua tenda (Gn. 18,33). Il
Signore si allontana, e Abramo ritorna quando, tolta la grazia della rivelazione,
il senso intellettuale è richiamato al comune stato. La prima volta che uscì,
Abramo, con molta fatica, obbligò a entrare nella sua tenda quegli che aveva
visto. La seconda volta che uscì, dopo una lunga visione e un lungo colloquio,
non poté condurlo con sé. Noi introduciamo Colui che abbiamo visto quando
con la ragione pieghiamo un poco alla comune intelligenza la teofania
rapidamente percepita. Ma Colui che è stato visto fuori non viene affatto
introdotto, quando la rivelazione e la visione contraddicono ogni umana
categoria tanto più drammaticamente quanto più viene confrontata con
l’umana ragione. In tale speculazione, prima che l’anima ritorni alla sua
dimensione consueta, il Signore si allontana e mostra la grandezza della sua
incomprensibilità con la lontananza della visione. Questi due generi di cose che
in queste due visioni sono conosciute per opera della divina rivelazione, sono
relative a quei due cherubini dei quali si è parlato. Questa è la materia della
quale devono essere formate le forme angeliche e alate. Con questa materia noi
formiamo i cherubini quando impariamo i segreti della nostra fede o per mezzo
della rivelazione o informati dai teologi, e ci abituiamo à condurre la nostra
anima alla contemplazione, e a innalzarla all’ammirazione, e a nutrirla; a
umiliarla, a infiammarla nel desiderio delle cose divine. Dobbiamo dunque,
secondo l’esempio di Abramo e di Elia aspettare la venuta del Signore come
sulla soglia, sulla porta della nostra abitazione. Dobbiamo allargare le ali dei
nostri cherubini, secondo il divino documento e affrettarci con rapidi passi,
andando incontro alla venuta della grazia rivelante.
Capitolo XIII
In ogni momento l’anima santa e contemplativa deve essere pronta a ricevere
la grazia
L’anima santa e veramente amica dello sposo deve aspettare con grande
desiderio la venuta del suo diletto, dev’essere sempre pronta e deve correre a