Page 72 - La Grazia della Contemplazione
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distribuendole secondo la sua volontà. Alcuni hanno dallo Spirito il dono della
sapienza, altri il dono della scienza, altri la fede, altri la grazia di sanare, altri il dono
delle opere buone, altri la profezia, altri il discernimento degli spiriti (1 Cor. 12,8), e, in
questo modo, altre infinite cose. Guarda quanto sia ammirabile e salutare
ricercare tali opere del divino Spirito e, nella loro contemplazione, fortificare
l’anima nell’umiltà e nella carità. L’anima avanza nell’amore di Dio e nel
disprezzo di sé, quando conosce perfettamente e quando nota frequentemente
di non potere nulla per se stessa. È ammirabile e desiderabilissima la grazia di
Dio, per cui Egli compie in noi ogni opera buona, in modo che ogni nostra
buona azione sia tanto sua che nostra: i doni suoi, i meriti nostri. Sopra abbiamo
detto che sono molteplici e multiformi gli affetti del cuore umano. Lo Spirito del
Signore li tempera a poco a poco ogni giorno nei suoi eletti, fondendoli in
un’unica armonia, e li porta col plettro della sua grazia, quasi citaredo,
modulandoli fino a quando risuoni nelle orecchie del Signore degli eserciti una
dolce melodia di virtù, quasi musica di molti citaredi. Ma se tale mirabile
armonia e molteplice consonanza sorge da un cuore in tanta pluralità di tanti
affetti, quale sarà la consona concordia delle anime beate, e la concorde
consonanza in tanta moltitudine di tante migliaia di angeli, di tante anime sante
esultanti che lodano il vivente nei secoli dei secoli? Tutte queste cose compie e
dispone la multiforme grazia dello Spirito divino, che, come sopra si è detto,
compie ogni cosa in tutto. Se in questi cinque gradi di contemplazione avremo
esercitato i nostri sensi, se saremo preparati a tali speculazioni, certo avremo
compiuto il nostro propiziatorio secondo il comando divino.
LIBRO QUARTO
Capitolo I
Il quinto e il sesto genere di contemplazione
Si deve ora trattare del quinto e del sesto genere di contemplazione, che Mosè
indica in questa mistica descrizione. Farai due cherubini di oro battuto alle due
estremità del propiziatorio, un cherubino da un lato e uno dall’altro. Questi cherubini
devono essere tutti d’un pezzo col propiziatorio, alle sue due estremità, con le ali in atto
di coprire il propiziatorio e con le facce rivolte l’una verso l’altra, sopra il propiziatorio
(Es. 5,18-20). Si può ben cercare con forza di intendere questa descrizione e
cogliere dalla similitudine proposta la regola della nostra dottrina, e trarre la
forma e il modo della nostra opera dalle parole di questa descrizione. Credo
infatti che sia proposto, in tali formule, qualcosa di grande e anzi di magnifico,
poiché è indicata con tali parole, poiché imita la forma degli angeli: Farai due
cherubini d’oro battuto. Veramente dovette essere qualcosa di grande, di
bellissimo, di sopramondano, qualcosa di superiore assolutamente all’umana