Page 38 - La Grazia della Contemplazione
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sensazione corporale entra nell’anima; e prova come nessuna offesa o nessun
piacere resti nascosto all’anima la rapidità della sua tristezza e della sua letizia.
Infatti come accade in uno stesso momento di volersi muovere e di muoversi,
così in uno stesso momento soffrono il corpo e il cuore e in uno stesso momento
ci si rallegra interiormente ed esteriormente. Scegli se meravigliarti di più della
celebre obbedienza del corpo all’anima o della così rapida conoscenza
dell’anima nei confronti del corpo. Con mirabile obbedienza il moto del corpo
quasi previene il desiderio dell’anima. Con perfetta conoscenza l’animo quasi
preavverte tutto ciò che il corpo sente. Il nostro uomo interiore ha una perfetta
conoscenza del suo uomo esteriore. Ma in ciò motivo di meraviglia, non però
motivo di gloria. Non è una grande gloria che l’animo conosca quelle cose che
piacciono o dispiacciono al suo corpo, ma è grande senza dubbio che l’anima
cominci a riconoscere sulla base di molta esperienza in che modo possa
moderare il desiderio della carne nelle necessità e a contrastarlo nel superfluo
affinché non susciti a se stessa un nemico, nella sua trascuratezza, e non nutra
un ribelle. O se troppo il corpo lo affligge, essa tolga di mezzo completamente il
suo compagno e si liberi del suo aiutante. Certo alla perfezione di questa
conoscenza l’animo a stento con molti argomenti dopo molte sperimentazioni
può giungere; ma una volta che l’abbia acquistata ne trae non piccolo
vantaggio. Senza di essa Adamo non avrebbe potuto avvalersi rettamente del
suo aiuto; per questa conoscenza l’uomo esteriore viene condotto alla noia delle
delizie dell’Egitto, talvolta, a dimenticarsene e si abitua a rallegrarsi degli
alimenti spirituali. Ciò può sembrare ammirevole o piuttosto incredibile. Ma se
non si crede a me si creda a chi è esperto. Sentiamo dunque colui che era
esperto e prestiamogli attenzione: Uomo della mia pace nel quale speravo e che
mangiava il mio pane (Sal. 40,10). E altrove: Egli prendeva con me il cibo piacevole e
camminavamo amici nella casa di Dio (Sal. 54,15). Quali sono dunque i pani che il
nostro uomo interiore presenta all’esteriore, e con quali cibi lo ristora, lo dice la
Scrittura: Le mie lacrime furono il mio pane di giorno e di notte, mentre mi chiedono
ogni giorno dov’è il tuo Dio (Sal. 41,4). E altrove dice di questi pani: Alzatevi dopo
che avete riposato, voi che mangiate il pane del dolore (Sal. 126,2). L’uomo interiore
mangia tale pane talvolta da solo, talvolta costringe con molta fatica anche il
suo compagno a mangiare con sé. Il solo spirito mangia il suo pane quando si
duole dei peccati suoi, ma non può versare nessuna lacrima. Mangiano insieme
il pane del dolore e prendono insieme lo stesso cibo quando l’uomo interiore
geme profondamente e, al suo gemito, l’uomo esteriore versa molte lacrime.
Prima dunque ogni uomo si raccoglie nel pentimento per il timore, poi per
l’amore. Il pentimento del timore è umano, il pentimento per amore ha una sua
dolcezza. Chi dunque si pente solo per il timore si pasce di cibi solo spirituali
niente affatto dolci. Ma chi già versa lacrime per il desiderio della gioia esterna
si ristora con dolci cibi spirituali. Quando quell’uomo interiore ha cominciato a
ristorare il suo compagno con tali cibi può a ragione cantare: Egli prendeva
dolci cibi. Con tali ricerche entrambi gli uomini avanzano verso la purezza
tanto più, quanto più velocemente corrono.
A chi rettamente intende appare chiaramente da ciò che si dirà che la malignità