Page 37 - La Grazia della Contemplazione
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se l’immaginazione non le offrisse forma delle cose visibili e non traesse una
similitudine verso quelle cose, formando il senso della sua ricerca. Per questo il
nostro uomo interiore chiama l’uomo esteriore sua guida, quando dice: Ma tu,
uomo amico, conosciuto, sei la mia guida (Sal. 55,14). È certo che, per il senso
corporeo, l’animo non può giungere alla conoscenza dell’uomo esteriore; a
ragione dunque l’uomo interiore chiama l’uomo esteriore sua guida e senza il
suo ministero, o anzi senza il suo magistero, non giunge alla conoscenza delle
cose visibili. Ma nemmeno può giungere alla conoscenza delle cose invisibili,
senza conoscere quelle visibili. Tutte le volte dunque che l’uomo interiore viene
costretto dall’uomo esteriore per mezzo del senso corporeo, ad accogliere una
esperienza, segue la sua guida. Senza dubbio il senso della carne, precede il
senso del cuore, se l’anima non cogliesse, per mezzo del senso corporeo,
qualche esperienza, non troverebbe nulla di cui poter pensare.
Ma non è meraviglia se il senso del corpo conduce il senso del cuore là dove
può andare. Ma questo poi è particolarmente ammirevole, che la conduce là
dove egli non può salire. Il senso corporeo non comprende ciò che è incorporeo,
ma a ciò la ragione non sale senza l’aiuto del senso corporeo, come abbiamo già
detto sopra. Certo, se l’uomo non avesse peccato, il senso esteriore aiuterebbe il
senso interiore nella conoscenza. Adamo accolse infatti Eva in suo aiuto. Ma
altro è averlo compagno nel viaggio, altro è volerlo come guida nel proprio
cammino. Infatti, poiché Eva contro il consiglio e il comando divino trasse
dietro di sé il suo uomo, piegandolo alla sua volontà, Adamo fu indebolito dalla
pena della sua prevaricazione e da allora deve seguirla e fino a oggi ha bisogno
del suo quotidiano magistero. D’altra parte non solo non viene confuso dalla
sua guida, ma anzi se ne gloria, quando, seguendola, si crea la via delle
similitudini corporee verso la contemplazione delle cose invisibili: L’uomo
amico e conosciuto è la mia guida (Sal. 55,14). È abbastanza chiaro, credo, come
all’uomo interiore la sua guida sia amica e conosciuta. Pensa ora come la vita
del corpo muova incontro al moto del cuore e troverai perché siano amici.
L’animo muove a sua volontà il piede o la mano; al suo cenno si girano gli
occhi; a suo arbitrio si muove la lingua, si muovono le labbra e tutte le altre
membra del corpo. E cosa c’è di più dissimile in natura, se non proprio lo
spirito e il corpo? E d’altra parte c’è tale perfetta concordia che non c’è quasi
differenza tra la volontà, che qualcosa accada e la realizzazione cioè tra il
muoversi e il volersi muovere. Un solo membro del corpo c’è che non ubbidisce
al comando dell’uomo interiore, nella parte nella quale regna il piacere carnale.
Ma quando con l’aiuto divino avrà potuto reprimere, per mezzo di una
moderata penitenza, la sua ribellione, immediatamente osa dirlo unanime, e
chiamarlo uomo della sua pace. Dice la Scrittura: uomo della mia pace.
Ecco perché è unanime. Ma in che modo egli è conosciuto? È noto che
qualunque cosa avvenga in qualsiasi parte del corpo, dovunque ci sia un dolore
o un piacere, subito l’anima ne è consapevole e non può rimanerle nascosto
nulla di ciò che prova il senso corporeo. E come il moto del cuore si manifesta
per il moto del corpo, così ogni senso del corpo entra rapidamente nell’anima.
Come in ogni azione il moto del corpo segue il comando del cuore, così ogni