Page 110 - La Grazia della Contemplazione
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tenda, significa il trascendimento della mente stessa. In due modi veniamo
condotti fuori di noi: ora infatti scendiamo sotto noi stessi, ora saliamo sopra
noi stessi. Nel primo caso siamo legati alle cose mondane, nel secondo siamo
ricondotti alle cose celesti. Ma come duplice è l’uscita, altrettanto duplice è il
ritorno. Dall’una e dall’altra uscita ritorniamo alla nostra tenda quando, dopo
gli affari mondani o dopo la contemplazione delle cose celesti, riportiamo gli
occhi della nostra mente alla considerazione dei nostri costumi e, ragionando
delle nostre cose intime, scrutiamo con cura come noi siamo. Intendiamo
rettamente che cosa sia il ritorno dal mondo, quando leggiamo nel Vangelo del
ritorno del figliol prodigo: Quanti servi nella casa di mio padre hanno abbondanza di
pane, mentre io perisco per la fame (Lc. 15, 17). Riferiamo invece al ritorno dalle
cose celesti le parole di Pietro: Pietro, ritornato in sé, disse: Ora so veramente che il
Signore mi mandò il suo angelo (At. 12,11). Ecco l’uno e l’altro sono ritornati a sé,
ma sono tornati a sé; perché prima erano usciti da sé. Il primo infatti viene
condotto in una regione lontana, lontano da sé; il secondo dietro la guida
dell’angelo viene sollevato nel trascendimento sopra la comune dimensione
dell’umana possibilità. Uscendo al modo del figliol prodigo si scende alle cose
più basse; ma uscendo di sé, come nel secondo caso, si viene sollevati fino alle
cose più alte. Nel primo caso ci allontaniamo dal Signore, nel secondo caso ci
avviciniamo a Lui. Che cos’è quella uscita da sé per mezzo della quale si corre
incontro al Signore, se non il trascendimento della mente umana, per mezzo del
quale essa, rapita oltre se stessa, si fissa nella contemplazione dei segreti divini?
Se dunque cerchiamo la causa di questa uscita, la troveremo subito. Infatti la
visione che apparve da fuori senza dubbio la trasse alle cose esteriori. La causa
invece dell’apparizione divina viene nascostamente indicata nel fatto che si dice
che il Signore sia apparso ad Abramo che sedeva sulla soglia della sua tenda nel
mezzogiorno. Vedi certamente che era grande il calore del giorno, quando il
Signore gli appariva. Che cos’è questo calore del giorno, se non, la forza
dell’ardente desiderio? Quell’amore che ama le tenebre e odia la luce, non deve
essere chiamato calore del giorno. Sappiamo poi che: Chi male agisce odia la luce,
e chi agisce secondo verità viene alla luce, affinché siano manifeste le sue opere, perché
sono state fatte in Dio (Gv. 3,20-21). Il calore del giorno non è altro che l’amore
ardente del vero, il desiderio del vero e supremo bene. Il patriarca Abramo era
preso dal calore del momento, che lo distoglieva dalle questioni domestiche e lo
faceva sedere sulla soglia, libero in certo modo da ogni affanno, così che poteva
vedere le cose tutt’attorno. Quel fervore faceva percepire a lui che lo desiderava
il soffio della divina rivelazione che gli leniva l’ardore del desiderio. Credo che
tu veda come quel fervore dal quale egli era preso lo traeva là dove avrebbe
potuto vedere i tre uomini, che egli seppe di dover adorare. Forse se avesse
badato agli affari domestici, se fosse rimasto all’interno della sua tenda, non
avrebbe visto quelle persone celesti, e, se non le avesse viste, non sarebbe uscito
in quel momento. Due cose quindi concorrono a un medesimo fine ed hanno
offerto l’occasione della sua uscita: la forza del calore e la novità della visione.
Secondo questa similitudine accade spesso nella mente umana, che mentre si
arde per il grande incendio del desiderio celeste, si merita di vedere qualcosa