Page 8 - La Felicità
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(Cicerone, framm. 39 t. B.)”. A queste parole convenivano con tanta esattezza quelle di
lei che, dimentichi del suo sesso, la considerammo un uomo illustre assiso in mezzo a noi.
Io frattanto, per quanto potevo, mi sforzavo di comprendere da quale e quanta sovrumana
sorgente derivassero le sue parole. Licenzio intervenne: “Dovresti indicarci che cosa, per
esser felice, l’uomo deve desiderare e di quali cose è opportuno abbia il desiderio”. Gli
risposi: “Invitami, se vorrai, nel tuo compleanno ed io mangerò volentieri ciò che mi
offrirai. Io ti chiedo di pranzare oggi con me alla stessa condizione e di non chiedermi una
vivanda che non è stata ammannita”. Egli accettò il richiamo a rientrare rispettosamente
nei suoi limiti. Allora continuai: “Finora è stato accettato fra noi che non può esser felice
chi non ha ciò che desidera e che non necessariamente è felice chi consegue ciò che
desidera”. Furono d’accordo.
L’oggetto del desiderio e la felicità.
2. 11. “E, continuai, concedete che chi non è felice, è infelice?”. Non contestarono. “Ogni
uomo dunque che non ha ciò che desidera è infelice”. Furono tutti d’accordo. “Che cosa
pertanto, chiesi, l’uomo deve conseguire per esser felice? Forse anche al nostro banchetto
sarà presentata una vivanda adatta a non lasciare insoddisfatto l’appetito di Licenzio. Io
penso che l’uomo deve tendere all’oggetto che può possedere quando lo desidera”.
Affermarono che era evidente. “Deve esser dunque, soggiunsi, un bene stabile non
dipendente dalla fortuna, non condizionato ai vari accadimenti. Infatti non possiamo
assicurarci quando e per tutto il tempo che vogliamo ciò che è perituro e caduco”. Fecero
un unanime cenno d’assenso. Soltanto Trigezio obiettò: “Vi sono molti che accumulano e
godono largamente di beni fragili e condizionati agli avvenimenti, ma fonti di gioia in
questa vita e non manca loro alcuno degli oggetti del loro desiderio”. Gli chiesi: “Ritieni
che chi teme è felice?”. “Non lo ritengo”, disse. “Dunque se può perdere ciò che ama, può
non temere?”. “È impossibile”, mi rispose. “Ora, conclusi, i beni soggetti al caso si
possono perdere. Dunque chi li ama e possiede non può assolutamente esser felice”. Non
contestò. A questo punto mia madre intervenne: “Anche se fosse sicuro di non perdere le
proprie sostanze, tuttavia non ne può esser saziato. Quindi intanto è infelice in quanto è
sempre bisognoso”. Le chiesi: “Non ritieni che possa esser felice se, abbondando e
traboccando di tante ricchezze, stabilisse un limite al desiderio e, contento di esse, ne
goda convenientemente e gioiosamente?”. “Non è felice, rispose, per il possesso delle
sostanze ma per la moderazione del suo desiderio”. “Benissimo, replicai. Anche a tale
domanda da te non si poteva attendere una risposta diversa. Quindi non abbiamo più
dubbi che, se qualcuno ha deciso di esser felice, si deve assicurare ciò che rimane per
sempre né può essere sottratto dalla fortuna spietata”. “Ormai, intervenne Licenzio,
siamo d’accordo su tale verità”. “Ritenete, ripresi, che Dio è eterno e non cessa mai
d’essere?”. “È verità tanto certa, rispose Licenzio, che non è necessario farla argomento
del dialogo”. E gli altri con profondo sentimento religioso concordarono. “Dunque,
conclusi, chi ha Dio è felice”.
Le varie opinioni dei convitati.
2. 12. Accettarono la conclusione con viva gioia; ed io ripresi: “Ci rimane da indagare
soltanto, come penso, chi è l’uomo che possiede Dio; egli sarà certamente felice. Chiedo
la vostra opinione sull’argomento”. Licenzio: “Ha Dio chi vive bene”. Trigezio: “Ha Dio
chi obbedisce ai suoi comandamenti”. Alla sua opinione aderì Lastidiano. Il più giovane
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