Page 4 - La Felicità
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all’orizzonte o presi da qualche allettamento, rimandano il tempo propizio alla
navigazione, errano piuttosto a lungo e spesso anche rischiano di naufragare. Anche essi
spesso sono ricondotti alla auspicata vita serena dalla sventura nei beni caduchi, la quale
può apparire come tempesta contraria ai loro tentativi.
Il monte della vanagloriosa filosofia classica.
1. 3. Tutti coloro che in una maniera o nell’altra sono condotti alla regione della felicità
devono temere fortemente ed evitare con ogni cura un alto monte che si erge proprio
davanti al porto e lascia un adito assai stretto a coloro che vi entrano. Esso è tanto
splendido ed è fasciato da luce così ingannevole che invita a soffermarvisi coloro che
arrivano e non sono ancora entrati e lusinga di soddisfare, sostituendosi alla regione della
felicità, la loro aspirazione. E spesso adesca anche gli uomini giunti al porto e li fa tornare
indietro allettandoli con la propria altezza, da cui è gradevole disprezzare gli altri. Essi
tuttavia ammoniscono i frequenti viaggiatori di non finire sugli scogli sommersi nelle
acque e di non credere che sia facile salire fino a loro e con molta umanità indicano la via
da seguire senza pericolo a causa della vicinanza della regione felice. E poiché non
vogliono averli soci di una futile gloria, mostrano il luogo della sicurezza. Infatti non altro
la ragione vuol fare intendere per alto monte, temibile a coloro i quali si avvicinano o
sono già entrati nella filosofia, che l’orgogliosa aspirazione è gloria caduca e vuota. Esso
infatti nell’interno è cavo e privo di compattezza sicché, squarciandosi il fragile suolo,
può trascinare nella rovina e inghiottire i tronfi individui che vi camminano sopra e
sottrarre ad essi, piombati nelle tenebre, la splendida patria che avevano intravisto.
Le esperienze spirituali di Agostino.
1. 4. Stando così le cose, ascolta, o mio Teodoro, poiché a te solo mi rivolgo e te ritengo
capace di comprendere il mio intento, ascolta dunque quale delle tre categorie di persone
mi ha fatto rivolgere a te, in quale luogo ritengo di essere e quale aiuto mi attendo da te.
Fin dal diciannovesimo anno della mia vita, dopo aver letto, nella scuola del retore, il
libro di Cicerone, dal titolo L’Ortensio, fui preso da tanto amore per la filosofia che subito
decisi di dedicarmi ad essa. Ma non mancarono nebbie per cui il mio navigare fu senza
mèta e a lungo, lo confesso, ebbi fisso lo sguardo su stelle che tramontavano nell’oceano
e che inducevano nell’errore. Difatti una falsa e puerile interpretazione della religione mi
distoglieva dall’indagine. Reso più maturo, mi allontanai dalla foschia e mi creai la
persuasione che ci si dovesse affidare più a coloro che usano la ragione che a coloro che
usano l’autorità. M’incontrai allora con individui i quali ritenevano che la luce sensibile si
deve venerare fra le cose altamente divine. Non ero d’accordo, ma supponevo che
intendessero celare una nobile dottrina in concetti arcani. In seguito me li avrebbero
svelati. Ma quando, dopo averli esaminati attentamente, li abbandonai soprattutto con la
traversata di questo mare, a lungo gli accademici tennero il mio timone fra i marosi in
lotta con tutti i venti. Alfine giunsi in questa regione e qui conobbi la stella polare cui
affidarmi. Avvertii infatti spesso, nei discorsi del nostro vescovo e talora nei tuoi, che
all’idea di Dio non si deve associare col pensiero nulla di materiale e neanche all’idea
dell’anima che nel mondo è il solo essere assai vicino a Dio. Ma, lo confesso, ero
trattenuto dal volare in seno alla filosofia dagli allettamenti della donna e dell’onore con
questa mira che, una volta conseguitili, sorte che è toccata a pochi fortunati, alfine a vele
spiegate e con tutta la forza dei remi sarei potuto rifugiarmi nel seno della filosofia e
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