Page 6 - La Felicità
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Desiderio ricerca e felicità (2, 7 - 16)

                  La coscienza del bisogno e il desiderio.

                  2.  7.  “Ritenete  come  evidente  che  siamo  composti  di  anima  e  di  corpo?”.  Tutti
                  acconsentirono, ma Navigio rispose che non lo sapeva. “Ma non sai proprio nulla, gli
                  chiesi, ovvero questa è una fra le tante nozioni che non sai?”. “Non penso, mi rispose, di
                  non sapere proprio nulla”. “Ci puoi dire, replicai, alcuna delle cose che sai?”. “Lo posso”,
                  rispose. “Se non ti dispiace, dinne qualcuna”. E poiché rimaneva perplesso, soggiunsi:
                  “Di vivere per lo meno hai coscienza?”. “Sì”, rispose. “Hai coscienza dunque anche di
                  avere la vita, poiché non si può vivere se non mediante la vita”. “Anche questo lo so”, mi
                  rispose. “Hai anche coscienza di avere un corpo?”. Fece cenno d’assenso. “Dunque sai di
                  risultare  del  corpo  e  della  vita”.  “Lo  so  per  ipotesi,  ma  rimango  in  dubbio  se  siano
                  soltanto questi i componenti”. “Non dubiti dunque, gli dissi, che questi due, il corpo e
                  l’anima, sono componenti; sei in dubbio se se ne richiede qualche altro a completare e
                  costituire l’uomo”. “Sì”, rispose. “Tratteremo, replicai, il problema un’altra volta, se ci
                  sarà possibile. Ora, poiché siamo tutti d’accordo che non si dà l’uomo senza il corpo e
                  senza l’anima, propongo a tutti il quesito per quale dei due desideriamo il cibo”. “Per il
                  corpo”,  disse  Licenzio.  Gli  altri  erano  perplessi  e  discutevano  fra  di  loro  con  varie
                  argomentazioni in che senso si può dire che il cibo sembra necessario al corpo. Difatti si
                  appetisce  per  la  vita  e  la  vita  non  appartiene  che  all’anima.  Allora  ripresi:  “Siete
                  dell’opinione  che  il  cibo  è  di  appartenenza  a  quella  parte  che  vediamo  crescere  e
                  irrobustirsi con esso?”. Assentirono tutti fuorché Trigezio. Obiettò: “Perché io non sono
                  cresciuto in proporzione al cibo ingurgitato?”. Gli risposi: “Tutti i corpi hanno un proprio
                  limite imposto loro dalla natura e non possono violare quella misura; sarebbero tuttavia di
                  minor grandezza se mancassero loro gli alimenti. Con tutta evidenza lo costatiamo negli
                  animali.  E  nessuno  può  dubitare  che  il  corpo  di  tutti  gli  animali  deperisce  con  la
                  sottrazione del cibo”. “Deperisce, obiettò Licenzio, ma non perde la propria grandezza”.
                  “Basta al mio intento, gli risposi. Il quesito è se il cibo è di pertinenza del corpo. E n’è di
                  pertinenza  poiché  con  la  sua  sottrazione  si  ha  il  deperimento”.  Concordemente
                  accettarono la mia opinione.

                  Bisogno, cibo dell’anima, conoscenza e virtù.

                  2.  8.  “E  l’anima,  chiesi,  non  ha  un  proprio  nutrimento?  Siete  d’accordo  che  sia  la
                  scienza?”. “D’accordo, disse mia madre. Penso che l’anima abbia come alimento soltanto
                  la pura conoscenza delle cose”. Trigezio si mostrò dubbioso di tale opinione. Ed ella
                  soggiunse: “Non ci hai indicato tu stesso oggi di che e dove l’anima si nutrisce? Hai detto
                  che soltanto a un certo punto del pranzo ti sei accorto della qualità del vasellame che
                  stavamo adoperando perché stavi riflettendo su non saprei quale cosa; tuttavia continuavi
                  a muovere mani e mascelle sulla tua porzione di vivande. Dove era dunque la tua mente in
                  quei momenti in cui, pur mangiando, non vi badavi? Credimi, da questa sorgente e di
                  queste vivande, cioè delle proprie riflessioni e pensieri, si pasce la mente nell’atto in cui
                  con  essi  si  può  rappresentare  l’oggetto”.  Gli  altri  continuavano  a  mostrare  con
                  animazione i propri dubbi in proposito. Allora io intervenni: “Non ammettete forse che la
                  mente delle persone veramente colte ha una formazione e sviluppo superiore a quella
                  degli illetterati?”. Ne ammisero l’evidenza. “Quindi, proseguii, giustamente possiamo






                  Agostino – Felicità                                                         pag. 4 di 17
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