Page 3 - La Felicità
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AGOSTINO DI IPPONA
LA FELICITÀ
Le condizioni della vita e la vocazione alla filosofia (1, 1-5)
La sventura e la vocazione alla filosofia.
1. 1. O coltissimo ed egregio Teodoro, se il tragitto indicato dalla ragione e la sola scelta
conducessero al porto della filosofia, dal quale si può sbarcare nella regione e terraferma
della felicità, non saprei se può offendere l’affermazione che in molto minor numero
sarebbero gli uomini che lo raggiungono. Adesso ancora, come osserviamo, di rado e
pochi assai vi arrivano. Infatti ci ha lanciato in questo mondo come in un mare
tempestoso, irrazionalmente e a caso, almeno all’apparenza, o Dio, o la natura, o la
necessità ovvero una nostra scelta o alcuni di questi principi congiunti o tutti insieme. Il
problema è di difficile soluzione. Tu hai cominciato a chiarirlo. Nessuno potrebbe dunque
sapere dove dirigersi o per dove ritornare se talora, contro la nostra scelta e mentre ci
affatichiamo in direzione opposta, una qualche tempesta, di cui gli ignoranti possono
ritenere che ci allontani dalla meta, non ci gettasse, senza la nostra consapevolezza e
malgrado il nostro errore, nella terra tanto desiderata.
Le tre categorie di naviganti.
1. 2. Ritengo quindi di poter classificare gli individui che la filosofia può accogliere, in tre
categorie di naviganti. La prima è di coloro che, raggiunto l’uso della ragione, senza
sforzo, con qualche leggero colpo di remi, salpano senza tentare il largo e si rifugiano
nella tranquillità. Di là erigono per quanti è possibile, affinché si sforzino di raggiungerli,
il faro splendente di qualche loro opera. La seconda categoria, opposta alla precedente, è
di coloro che, ingannati dalla fallace superficie del mare, hanno deciso d’avanzare al
largo ed osano allontanarsi dalla patria e spesso se ne dimenticano. E se un vento, che
credono favorevole, li sospingerà da poppa non saprei in quale direzione e in maniera
assai occulta, incorrono nel colmo dell’infelicità. Ma ne sono orgogliosi e soddisfatti
perché fino a tal punto li favorisce la serenità assai ingannevole dei piaceri e degli onori.
E ad essi non si deve augurare altro che una sfavorevole e, se è poco, una veramente
crudele tempesta, proprio in quelle soddisfazioni da cui sono trattenuti nel piacere ed
inoltre il vento contrario che li conduca, magari piangenti e gementi, a godimenti sicuri e
stabili. Tuttavia taluni di questa categoria, non essendosi ancora molto allontanati, sono
ricondotti da avversità non tanto gravi. Sono gli uomini che, quando le lacrimevoli
perdite delle loro sostanze o le angustianti difficoltà per futili interessi li stimoleranno a
leggere, poiché non rimane loro altro da fare, libri di uomini dotti e molto saggi, si
svegliano, per così dire, nel porto stesso, da cui non possono farli uscire le lusinghe del
mare troppo falsamente tranquillo. Fra le due precedenti v’è una terza categoria. È di
coloro che o fin dall’adolescenza, ovvero dopo essere stati a lungo e duramente sballottati
qua e là, tengono lo sguardo volto ad alcuni fari e, sebbene fra i marosi, si ricordano della
patria diletta e con dritto corso senza inganni e senza indugi vi ritornano. O più spesso
lasciando la retta via a causa delle nebbie o fissando lo sguardo su stelle che declinano
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