Page 10 - La Felicità
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2. 15. “Io non li abbandono ancora”, disse Licenzio. “Dunque, ribatté Trigezio, dissenti
da noi?”. “E voi, rimbeccò l’altro, non dissentite da Alipio?”. Gli dissi: “Non dubito che,
se fosse stato presente Alipio, avrebbe accettato la mia breve dimostrazione. Non avrebbe
infatti potuto accogliere l’assurda opinione di ritenere felice chi non ha un bene spirituale
tanto eccellente e che ha ardentemente desiderato di avere, ovvero che essi non vogliono
raggiungere la verità, o che è saggio chi non è felice. Da questi tre motivi, come se fossero
miele, farina e mandorle, è confezionata la torta che temi d’ingerire”. “Ed egli, ribatté
Licenzio, accetterebbe questo piccolo divertimento da fanciulli abbandonando la ricca
tradizione degli accademici? Da essa, come da fiume in piena, la tua breve dimostrazione
sarebbe sommersa e trascinata via”. “Come se, rimbeccai, stessimo cercando una lunga
dimostrazione soprattutto contro Alipio. Egli stesso con il tuo intervento dimostra
sufficientemente che questi motivi lievi ma non scarsi di pensiero sono validi e utili. Ma
tu che preferisci dipendere dall’autorità di un assente, quale punto biasimi? Che chi non
ha l’oggetto del desiderio non è felice? Ovvero che gli accademici, i quali ricercano con
ardore la verità, non la vogliono avere, una volta conseguita? O ritieni che l’uomo saggio
non è felice?”. “È certamente felice, rispose sorridendo sdegnosamente, chi non ha
l’oggetto del desiderio”. Ordinai che le sue parole fossero trascritte. Ed egli esclamò: “Ma
io non l’ho detto”. Feci cenno che si trascrivessero ugualmente anche queste. Allora
ammise: “L’ho detto”. Avevo ordinato, una volta per sempre, che non potesse profferire
parola che non fosse trascritta. E così tenevo il giovanotto in esercizio fra la vergogna e
l’ostinatezza.
... ma Monica li definisce epilettici.
2. 16. Ma mentre, motteggiandolo con tali parole, lo invitavo ad ingerire, per così dire, la
sua porzione, mi accorsi che gli altri ignari dell’argomento e desiderosi di conoscere il
tema della nostra scherzosa conversazione, ci guardavano seri. E riferendomi a un caso
piuttosto frequente, mi parve di poterli paragonare a quelle persone che, sedendo a mensa
con individui sempre affamati ed eccellenti divoratori, o si trattengono dal tirar giù per
contegno o si lasciano prendere dalla vergogna. Ma io ero l’anfitrione e tu mi hai
insegnato a sostenere la parte di un uomo illustre e, per svelare tutto, dell’uomo vero, ma
anche dell’anfitrione in quel convito. Mi turbò quindi il diverso e incoerente trattamento
usato alla nostra mensa. Sorrisi a mia madre. E lei, con grande liberalità, mi ordinò di
offrire, come se la dispensa fosse sua, la vivanda di cui erano privi. Mi pregò poi: “Dicci
ormai chiaramente la posizione di codesti accademici e le loro tesi”. Gliene presentai una
breve e chiara esposizione in maniera che tutti i presenti potessero comprendere. E lei:
“Ma costoro sono affetti da mal caduco”. Con questo termine in gergo popolare sono
designati coloro che sono sconvolti da attacchi d’epilessia. Nel contempo si alzò per
andarsene. E tutti rallegrati ed esilarati dal motto, posta fine alla discussione, ce ne
andammo.
Dio e la felicità (3, 17 - 22)
Ricapitolazione della disputa precedente.
Agostino – Felicità pag. 8 di 17