Page 15 - La Felicità
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non saggio. Sta il fatto che temeva, poiché era di retto intendimento come si suol dire,
l’improvvisa perdita di tutte le sostanze a causa di qualche avversità. Non era difficile
comprendere che tutti quei beni, per quanto grandi fossero, erano soggetti alla forza degli
avvenimenti”. Sorridendo gli risposi: “Stai rilevando, o Licenzio, che questo individuo
assai fortunato è stato impedito dal raggiungere la felicità a causa della sua rettitudine.
Infatti essendo assai avveduto, prevedeva che poteva perdere tutti i suoi beni. Ed era
travagliato da simile timore e spesso ripeteva quel detto popolare: L’uomo che non
s’illude è assennato per la propria infelicità (Plutarco, De tranq. an. 1, 465c.)
Quindi l’insipienza è essenziale privazione...
4. 27. Egli e gli altri sorrisero. Io soggiunsi: “Esaminiamo attentamente il motivo per il
quale costui, sebbene ebbe timore, non soggiacque alla privazione poiché da qui ha
origine il problema. Il soggiacere alla privazione infatti consiste nel non avere e non nel
timore di perdere ciò che si ha. Egli era infelice perché temeva, sebbene non fosse
soggetto al bisogno. Dunque non si è soggetti al bisogno per il fatto che si è infelici”.
Anche mia madre, la cui opinione stavo difendendo, approvò assieme agli altri. Tuttavia,
esprimendo una riserva disse: “Ancora non so e non riesco bene a comprendere come si
possa separare l’infelicità dalla privazione e la privazione dall’infelicità. Anche costui
che era ricco e possidente e, come state dicendo, non desiderava più nulla, tuttavia, poiché
temeva di perdere, era privo di saggezza. Dunque lo dovremmo considerare bisognoso se
fosse stato privo di denaro e di possessioni e non lo considereremo tale per il fatto che era
privo della saggezza?”. Fu un grido unanime d’ammirazione. Anche io fui non poco
contento e lieto che proprio da lei fosse espresso il concetto che avevo inteso di esporre in
fine come verità di fondo desunta dagli insegnamenti dei filosofi. “Osservate, esclamai,
che altro è la molteplice e varia cultura e altro lo spirito sempre fisso in Dio? Da dove
infatti procedono le parole udite che hanno destato la nostra ammirazione se non da lui?”.
A questo punto Licenzio tutto lieto m’interruppe esclamando: “Certamente non si poteva
dire qualche cosa di più vero e di più divino. Non c’è infatti tanta privazione che produca
tanta infelicità quanto, esser fuori della saggezza. Chi non è privo della saggezza non ha
bisogno assolutamente di nulla”.
... la saggezza è felicità, la stoltezza infelicità.
4. 28. “La soggezione alla privazione spirituale, continuai, non è altro che stoltezza. Essa
è contraria alla saggezza e così contraria come la morte alla vita, come la felicità
all’infelicità senza condizioni di mezzo. Allo stesso modo che l’uomo non felice è
infelice e chi non è morto è vivo, così è evidente che chi non è stolto è necessariamente
saggio. Ne possiamo dedurre che Sergio Orata non fu infelice tanto perché temeva di
perdere i doni di fortuna ma perché era stolto. Ne consegue che sarebbe stato più infelice
se non avesse avuto timori da parte di cose tanto instabili e incerte che egli reputava beni.
Sarebbe stato infatti più sicuro non per vigile fortezza di spirito ma per torpore mentale,
comunque infelice perché immerso nella più profonda stoltezza. Ma se chiunque è privo
della saggezza soggiace alla più grande privazione e chi ne è in possesso non ha alcuna
privazione, ne consegue che la stoltezza è privazione. Inoltre come ogni stolto è infelice,
così ogni infelice è stolto. Dunque è provato che la privazione è infelicità e l’infelicità
privazione.
La privazione significa non avere;
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