Page 16 - La Felicità
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4. 29. Trigezio confessò di non aver compreso la conclusione. Che cosa, gli chiesi,
abbiamo accertato con la nostra analisi?”. Che soggiace alla privazione chi non possiede
la saggezza”, mi rispose. “E che cosa è, soggiunsi, soggiacere a privazione?”. “Non avere
la saggezza”. “E che cos’è, dissi, non avere la saggezza?”. Poiché taceva gli chiesi:
“Avere la stoltezza?”. “Sì”, ammise. “Dunque, conclusi, avere la privazione e
rispettivamente la stoltezza è la medesima cosa. Ne consegue che privazione è sinonimo
di stoltezza. Tuttavia, non so perché, diciamo: Ha la privazione; ovvero: Ha la stoltezza. È
lo stesso caso di quando diciamo che un luogo privo di luce ha le tenebre; non significa
altro che non avere la luce. Le tenebre non vanno e vengono, ma mancare di luce significa
essere nelle tenebre, come esser privo delle vesti significa esser nudo. Insomma, quando
s’indossa una veste la nudità non fugge come un oggetto condizionato al moto locale.
Così dunque diciamo che si ha la privazione come si dice che si ha la nudità. La
privazione è categoria del non avere. Quindi per spiegare, come posso, il mio pensiero, si
dice: Ha la privazione, come se si dicesse: Ha il non avere. E pertanto se risulta che la
stoltezza è per sé vera e autentica privazione, cerca di comprendere che il problema è
stato da noi risolto. Eravamo in dubbio se nel dire infelicità non intendessimo altro che
privazione. Abbiamo spiegato che la stoltezza giustamente significa privazione. Dunque
dobbiamo ammettere che, come lo stolto è infelice e l’infelice è stolto, così non solo chi
soggiace a privazione è infelice ma anche chi è infelice soggiace a privazione. Dal
principio che ogni stolto è infelice e ogni infelice è stolto si deduce che la stoltezza è
infelicità. Così dal principio che chi soggiace alla privazione è infelice e chi è infelice
soggiace alla privazione dobbiamo dedurre che l’infelicità è essenzialmente privazione”.
quindi si oppone a pienezza...
4. 30. Tutti dichiararono di essere d’accordo. “Ora è opportuno, proseguii, che
esaminiamo chi non soggiace a privazione. Questi sarà l’uomo saggio e felice. Ora la
stoltezza è privazione. Il nome stesso indica privazione poiché la parola si usa per
significare una certa improduttività e insufficienza. Considerate dunque più attentamente
con quanta diligenza gli antichi hanno foggiato tutte o, come si può vedere, alcune parole
relative a significati la cui conoscenza era indispensabile. Ormai ammettete che lo stolto
soggiace a privazione e chi soggiace a privazione è stolto. Penso che siate anche
d’accordo che l’animo stolto è vizioso e che tutti i vizi dello spirito sono inclusi
nell’unico concetto di stoltezza. Nel primo giorno di questa nostra disputa abbiamo detto
che l’immoderatezza (nequitia) è stata così denominata perché è un non qualche cosa
(nequidquam) e che il suo contrario, la moderatezza, è stata nominata da produttività
(frux). Dunque in questi due contrari, moderatezza e immoderatezza, sono posti in
evidenza l’essere e il non essere. Che cosa pensiamo sia il contrario di privazione, di cui
si sta trattando?”. Esitarono a rispondere. “Se dicessi ricchezza, intervenne Trigezio, noto
che il suo contrario è povertà”. “Il concetto è simile, gli risposi. Povertà e privazione di
solito significano la stessa, cosa. Tuttavia si deve trovare un altro termine affinché alla
parte migliore non ne rimanga uno solo. Difatti mentre la parte di povertà e privazione
abbonda di termini, da quest’altra si opporrebbe soltanto il termine di ricchezza. E
sarebbe veramente assurdo che si dia privazione di termini nella parte che è contraria alla
privazione”. “Sono d’avviso, disse Licenzio, che la pienezza, se il termine è passabile,
giustamente si oppone alla privazione”.
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