Page 11 - L'uniformità alla volontà di Dio
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Dobbiamo sibbene adoperarvi i rimedi ordinari, perché così vuole ancora il Signore, ma
se quelli non giovano, uniamoci colla volontà di Dio, che ci gioverà molto più della
sanità. Signore, diciamo allora, io non voglio guarire, nè stare infermo, voglio solo quel
che volete voi. Certamente è maggior virtù nelle malattie il non lamentarsi de’ dolori; ma
allorchè questi fortemente ci affliggono, non è difetto il palesarli agli amici, ed anche il
pregare il Signore, che ce ne liberi. Intendo ne’ dolori grandi, poiché all’incontro molto
difettano in ciò alcuni altri, che ad ogni semplice dolore, o fastidio vorrebbero, che tutto il
mondo venisse a compatirli, ed a pianger loro d’intorno. Del resto anche Gesù Cristo,
vedendosi vicino alla sua amarissima passione, palesò la sua pena ai discepoli: Tristis est
anima mea usque ad mortem. (Mat. 26.38) e pregò l’eterno suo Padre a liberarnelo; Pater
mi, si possibilie est, transeat a me calix iste. (ibid 39) Ma Gesù stesso c’ insegnò quel che
dobbiamo fare dopo simili preghiere, cioè rassegnarci subito nella divina volontà, col
soggiungere: Verumtamen, non sicut ego volo, sed sicut tu.
Quale sciocchezza è poi quella coloro, che dicono desiderar la salute, non bià per patire,
ma per maggiormente servire il Signore, in osservar le regole, servir la comunità, andar
alla Chiesa, far la Comunione, far penitenza, studiare, impiegarsi nella salute dell’anime
confessando, predicando? Ma io dimando, divoto mio, dimmi, perché tu desideri di far
queste cose? per dar gusto a Dio? E che vai cercando, quando sei certo, che il gusto di Dio
non è, che facci orazione, Comunioni, penitenze, studi, o prediche, ma che soffri con
pazienza, quell’infermità, e quei dolori, che ti manda? Unisci allora i tuoi dolori con
quelli di Gesù Cristo. Ma mi dispiace, che stando così infermo sono inutile, e di pese alla
comunità, alla casa. Ma conforme voi vi rassegnate alla volontà di Dio, così dovete
credere, che i vostri Superiori anch’ essi si rassegnino, vedendo che voi non per vostra
pigrizia, ma per voler di Dio apportiate questo peso alla casa. Eh che questi desideri, e
lamenti, non nascono dall’amore di Dio, ma dall’amor proprio che va cercando pretesti
per allontanarti dalla volontà di Dio. Vogliamo dar gusto a Dio? Diciamo allora, che ci
vediamo confinati in un letto, diciamo al Signore questa sola parola, fiat voluntas tua; e
questa replichiamo sempre cento, e mille volte, che con questa sola daremmo più gusto a
Dio, che non gli daressimo con tutte le mortificazioni, e divozioni, che possiamo fare.
Non ci è meglior modo di servire a Dio, che abbracciando allegramente la sua volontà. Il
V. P. M. Avila (Epist.2) scrisse ad un Sacerdote infermo: Amico non stare a fare il conto
di quel, che faresti essendo sano, ma contentati di stare infermo per quanto a Dio
piacerà. Se tu cerchi la volontà di Dio, che cosa più t’ importa lo istar sano, che infermo?
E certamente ben disse ciò, perché Dio non viene già glorificato dalle opere nostre, ma
dalla nostra rassegnazione, e conformità al suo Santo volere. Perciò diceva ancora S.
Francesco di Sales, che si serve più Dio col patire, che coll’operare.
Molte volte ci mancheranno i medici, le medicine, o pure il medico non giungerà a
conoscere la nostra infermità, ed in ciò anche bisogna, che ci uniformiamo alla divina
volontà, la quale ciò dispone per nostro bene. Si arra d’un uomo divoto di S. Tommaso
Cantuariense (l. 5, c. 1) ch’ essendo infermo andò al sepolcro del Santo per ottenere la
sanità. Ritornò sano alla Patria, ma poi disse fra se: mae l’infermità più mi giovasse a
salvarmi, questa sanità che mi serve? Con questo pensiero ritornò al sepolcro, e pregò il
Santo, che chiedesse a Dio quello, che gli era più espediente per la salute eterna, e fatto
ciò ricadde nell’infermità, ed egli se ne stette tutto ciò contento, tenendo per fermo, che