Page 12 - L'uniformità alla volontà di Dio
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Dio così disponeva per suo bene. Narra il Surio similmente, che un cieco ricevè la vista
per intercessione di S. Bedasto Vescovo; ma dopo fece orazione, che se quella vista non
era espediente per l’anima sua, tornasse ad esser cieco, ed avendo orato, rimase cieco,
come prima. Allorchè dunque stiamo infermi, il meglio è che non cerchiamo nè
l’infermità, nè la sanità, ma ci abbandoniamo nella volontà di Dio, acciò disponga di noi
come li piace. Ma se vogliamo cercar la sanità, domandiamola almeno sempre con
rassegnazione, e con condizione, se la sanità del corpo è conveniente alla salute
dell’anima: altrimenti una tal preghiera sarà difettosa, nè sarà esaudita, poiché il Signore
non esaudisce tali sorte di preghiere non rassegnate.
Il tempo dell’infermità io lo chiamo pietra di paragone degli spiriti, perché in quello si
scopre di qual carato è la virtù, che possiede un’anima. Se quella non s’ inquieta, non si
lamenta, non cerca, ma ubbidisce ai medici, ai Superiori, e se ne sta tranquilla, tutta
rassegnata nella divina volontà, è segno, che in lei vi è fondo di virtù. Ma che deve dirsi
poi d’un infermo, che si lamenta, e dice ch’ è poco assistito dagli altri? che le sue pene
sono insopportabili? che non trova rimedio, che gli giovi? che il medico è ignorante; e
talvolta si lagna ancora con Dio, che troppo calchi la mano? Racconta S. Bonaventura
nella vita di S. Francesco (cap. 14) che stando il Santo travagliato straordinariamente da
dolori, uno de’ suoi Religiosi troppo semplice gli disse: Padre, pregate Dio, che vi tratti
un poco più dolce, perché pare, che calchi troppo la mano. Ciò udendo S. Francesco,
diede un grido, e gli rispose: Sentite: s’io non sapesse, che ciò, che dite, nasce da
semplicità, non vorrei più vedervi, avendo voi ardito di riprendere i giudizi di Dio. E ciò
detto, benchè molto debole, ed estenuato dal male, si buttò dal letto in terra, e baciandola,
disse: Signore, io vi ringrazio di tutti i dolori, che mi mandate. Vi supplico a mandarmene
più, e così vi piace. Il mio gusto è, che voi mi affliggiate, nè mi risparmiate punto, perché
l’adempimento della vostra volontà è la maggior consolazione, che posso ricevere in
questa vita.
A ciò bisogna anche ridurre la perdita, che tal volta noi soffriamo delle persone utili al
nostro profitto, o temporale, o spirituale. L’anime divote spesso fanno gran difetti circa
questo punto, non rassegnandosi alle divine disposizioni. La nostra santificazione non ci
ha da venire dai Padri spirituali, ma da Dio. Vuol’egli già, che noi ci vagliamo de’
Direttori per la guida dello spirito, quando ce li dà; ma quando ce li toglie, vuole che ce ne
contentiamo, ed accresciamo la confidenza nella sua bontà, dicendo allora: Signore, voi
me l’avete dato questo ajuto, ora me l’avete tolto, sia sempre fatta la vostra volontà; ma
ora supplite voi, ed insegnatemi quel, che debbo fare per servirvi. E così similmente
dobbiamo accettare dalle mani di Dio tutte l’altre croci, che ci manda. Ma tanti travagli,
dite voi, sono castighi. Ma rispondo io, i castighi, che Dio manda in questa vita, non sono
grazie e benefici? Se l’abbiamo offeso, dobbiamo soddisfare la divina giustizia in qualche
modo, o in questa, o nell’altra vita. Perciò dobbiamo dir tutti con S. Agostino: Hic ure, hic
seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas: e col S. Giobbe; Haec sit mihi consolatio, ut
affligens me dolore non parcas. (6.10) Dee pur consolarsi, chi s’ ha meritato l’Inferno, in
vedere, che Dio qui lo castiga, poiché ciò dee molto animarlo a sperare, che Dio voglia
liberarlo dal castigo eterno. Diciamo dunque ne’ castighi di Dio ciò, che diceva il