Page 72 - Teologia Mistica
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che è perfettamente integra e senza alcuna carenza, che è necessaria e non può mutare.
Sarebbe però interessantissimo riflettere e indagare se questa presa di conoscenza sia
qualcosa che può sperimentare soltanto il sentimento supremo unito a Dio nell’amore, o
se possa essere detta conoscenza intellettuale (certo non intuitiva, ma astratta, vale a
dire conoscenza vespertina) e non solo denotativa bensì assoluta. Infatti entrambe le
opinioni hanno difensori di grandissima autorità.
Alcuni, commentando Dionigi, difendono la prima opinione. Altri invece affermano
che, oltre alla suddetta presa di conoscenza sperimentale, si può avere anche un concetto
intellettuale proprio, assoluto, per quanto non intuitivo, dell’essere divino, se da
«essere» si rimuove ogni imperfezione — e lo stesso si dica per quanto concerne «vita»,
«bontà», «sapienza», «potenza» e consimili perfezioni espresse in predicati. Come,
eliminando dall’idea volubile di questo uomo il suo esser-situato, il suo essere-in-
movimento, le sue fattezze e gli altri suoi rivestimenti accidentali, si ottiene l’effigie o
l’immagine di uomo, cioè il concetto specifico ed assoluto di uomo, lo stesso —
ritengono — avviene per l’essere, nel senso che, eliminando da ciò che è essere la
potenzialità, la privazione, la dipendenza e tutte le altre imperfezioni, si ottiene il
concetto proprio ed assoluto di Dio. Adducono come prova il fatto che Dio stesso
dichiarò esser questo il suo nome, quando così rispose a Mosè: «Dirai: Colui che è mi
ha mandato a voi» [Es 3,14]. Lo stesso — affermano costoro — vale per il concetto di
bontà, secondo la risposta di Cristo nel Nuovo Testamento: «Solo Dio è buono» [Mt
19,17]. Verso questa opinione sembra inclinare Agostino in molti luoghi, ma soprattutto
nel libro ottavo De Trinitate, là dove insegna a volgersi all’assolutamente Buono, ed
anche il suo lontano discepolo Bonaventura nel capitolo sesto del suo Itinerarium.
Non so perché, mentre sto trattando della teologia mistica pratica, ricado di nuovo in
quella speculativa, ma non credo sia inutile ritornarvici. Bisogna infatti che tu, anima
che cerchi di giungere a Dio con rapimenti anagogici, impari a distoglierti dalle
rappresentazioni sensibili mediante la facoltà innata dell’astrazione — così come negli
animali la potenza astrattiva inferiore estrae dalle immagini sensibili quelle non
sensibili. Bisogna inoltre che tu sappia distinguere le imperfezioni dalle perfezioni, in
modo che, finalmente, brilli davanti a te qualcosa di assolutamente perfetto in essenza e
in bontà.
Ma rivolgiamoci a chi non è molto esperto in metafisica o teologia e spieghiamo,
sperando di riuscirvi, a quali condizioni, con quali accorgimenti lo spirito possa
distogliersi dalle rappresentazioni sensibili quando va in cerca dei rapimenti anagogici o
al di sopra della mente. Forse lo spirito potrà riuscirvi se l’uomo, in ogni sua
meditazione e riflessione su Dio, non si fermerà mai all’aspetto conoscitivo, ma aspirerà
con la facoltà del sentimento, quasi tenendo avidamente spalancata la bocca del cuore,
ad assaporare e gustare la potenza, la sapienza, la bontà di Lui, di Lui che è «terribile
nei suoi disegni riguardo ai figli degli uomini» [Sal 65,5], di Lui che domina e giudica
nella maestà della sua potenza, che è «grande» e ammirevole «nella sua sapienza senza
confini» [Sal 146,5], ma anche dolce, assolutamente desiderabile ed amabilissimo nella
sua bontà e nel «torrente delle sue delizie» [Sal 35,9].
Mentre sarai così intento allo sforzo, ti verrà incontro una grande massa di
rappresentazioni sensibili. Penso anzi che tali rappresentazioni faranno importunamente
irruzione in entrambi i tuoi occhi interiori. Ma tu cacciale via più fortemente che puoi
con la mano della devozione, e sforzati di liberartene scuotendo per così dire la testa
dello spirito; oppure, come se non te ne accorgessi e le disprezzassi, continua per la tua
strada e balza gagliardamente fuori da quella trista schiera. La sete spirituale ti stimolerà