Page 56 - Teologia Mistica
P. 56
contemplazione rientra nella categoria delle grazie date gratuitamente, come la fede, la
speranza, la profezia o altra virtù simile, le quali a volte sono concesse anche a reprobi e
a persone che non vivono nella carità. Chi dunque potrà gloriarsi a buon diritto, se non
nel Signore? Guai, guai a te presunzione umana, quando succeda che queste e simili
grazie siano date ai figli della maledizione, o a loro peggior dannazione per l’uso
ingratissimo che fanno del dono divino, o ad ammonimento di altri, o come premio
temporale per qualche loro fatica falsa e inutile. Dice infatti il proverbio che per questa
moneta viene data quella ricompensa, nell’insondabile giudizio divino. Hanno voluto
soltanto fornicare coi doni di Dio alla ricerca di una soddisfazione non retta o per
temeraria presunzione: che cosa si aspettano allora? Dio appaga il desiderio di gente che
non ha alcun merito; lo appaga, ma adirato; di qui il rimbrotto evangelico: «Prendi quel
che è tuo e vattene» [Mt 20,14].
E così, dal modo in cui Dio amministra la sua misericordia [verso i cattivi], spesso si
ricava l’impressione che egli si allontani [anche] dai suoi eletti, ma [in questo caso] non
lo fa con ira e neppure per sempre. Infatti anche così adirato si ricorderà della sua
misericordia. Ma chi sonderà l’abisso dei suoi giudizi? Tuttavia dalle parole dei santi,
che spesso hanno parlato per ispirazione divina, riusciamo a capire alcuni «perché» di
un siffatto mistero.
Nota come la superbia si guarisca con le contrarietà. Talvolta, abbastanza spesso,
Dio si allontana da noi a nostra umiliazione, cioè affinché la nostra superbia, prima
dominante, venga smussata, oppure affinché non si insinui in noi la carnalità. Lo attesta
Bernardo, esperto di queste cose: «Davvero niente è tanto efficace per acquisire,
mantenere o recuperare la grazia che ci merita la vita eterna, quanto l’esser trovato
sempre, non già tronfio d’orgoglio, ma modesto». E la Scrittura chiama «beato l’uomo
che sempre teme» [Prov 28,14] e che sta in guardia.
Il venir meno della grazia provoca il desiderio. Talvolta Dio si allontana affinché in
noi si accenda più forte il desiderio [di Lui] — come il fuoco sul quale si è soffiato
erompe più vivo — e affinché impariamo a ricercare le cose grandi con animo grande.
Perché si conoscano le proprie miserie. Dio si allontana affinché l’uomo avverta
fino in fondo, e dunque con maggior chiarezza, la propria fragilità e l’abisso della
propria miseria, e così senta bassamente di sé, ricordando cosa è in sé e cosa può essere
per dono di Dio.
Perché altri siano consolati. Dio si allontana affinché ci rivestiamo di sentimenti di
compassione per la desolazione in cui si trovano altri ai quali questa consolazione [della
vicinanza di Dio] o non viene [mai] concessa oppure viene sottratta.
Per sconfiggere la presunzione e l’ignavia. Dio si allontana affinché in tal frangente
si faccia penitenza per sé o per gli altri tramite il dolore sensibile provocato da tale
lontananza, così come l’umanità di Cristo [sulla croce] fu abbandonata e tutta quanta
immersa in un torrente di sofferenze affinché in tal modo soddisfacesse per i peccati,
non propri bensì altrui.
Perché chi è devoto non trascuri chi non lo è. Dio talvolta si allontana affinché chi è
capace di aiutare gli altri con l’insegnamento o in altro modo non se ne stia
continuamente così ozioso, così assorbito dagli amplessi di Rachele, da trascurare
l’impegno della carità e da non preoccuparsi mai di rendere gravida Lia. Infatti una
natura bene educata rifugge dalla pigrizia e cerca sempre di essere utile occupandosi
almeno di cose modeste, se non può trattarne di elevate. Onde succede che un’anima
indebolita e umiliata come questa progredisca di più, e che in lei penetri più dolcemente
la «pioggia generosa» [Sal 67,10] del divino ristoro.