Page 54 - Teologia Mistica
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Pensiamo agli alberi: il loro umore nutritivo, che dovrebbe salire fino all’altezza dei
rami, defluisce verso il basso senza essere stato di alcuna utilità, se in seguito a una
ferita si sia prodotta nella corteccia una spaccatura. Ora l’amore è come l’umore
dell’anima: defluisce verso il basso e si attacca a cose infime, quando l’anima è lacerata
dalle ferite delle passioni carnali o delle preoccupazioni terrene. E percorrendo questa
via, oltre che nuocere al nutrimento dell’amore di lei, non sale in alto ad alimentare i
desideri celesti. Di questo si lagnano coloro che vorrebbero sì librarsi nelle altezze della
contemplazione con le penne del loro amore, ma nel contempo lasciano che l’umore
dell’amore defluisca verso il basso, là dove il cuore trova un’apertura, cioè verso le
preoccupazioni familiari, o verso il pensiero della vendetta, o verso qualche altra
preoccupazione di questo tipo; e così sperimentano quel che il profeta deplora: «I miei
lombi», cioè i miei sentimenti, «sono pieni di illusioni» [Sal 37,8] — e si tratta davvero
di illusioni, che altrove chiama «vanità o folli menzogne» [Sal 39,5], «invenzioni degli
iniqui» [Sal 118,5].
Queste preoccupazioni voleva combattere il poeta lirico quando diceva:
se non volgi la tua mente allo studio delle cose oneste,
sarai preso dall’invidia o dall’amore che tolgono il sonno.
Ma chi, di grazia, ne è così libero da non esserne mai molestato? Credo nessun «uomo
vivente», che è «tutto vanità» [Sal 38,6]. Però una cosa è dedicarsi spontaneamente, o
per ufficio, o per interesse a tali occupazioni, e un’altra allontanarsene sollecitamente e
decisamente e respingerle con la mano del discernimento, come ci si difende dai
fastidiosi aculei delle mosche ronzanti, come anche Abramo scacciò gli uccelli che
svolazzavano intorno al sacrificio vespertino.
Qualcuno potrebbe chiedere, a riguardo del fatto che molti religiosi sono impegnati
nella salmodia cantata ad alta voce e ripetuta innumerevoli volte, se questa occupazione
sia di ostacolo all’acquisto o all’esercizio della contemplazione. Vorrei che fossero i
religiosi stessi a dirci quel che pensano. Il beato Agostino per parte sua confessa:
«Quanto piansi ascoltando l’armonioso risuonare delle voci che ti levavano inni e
cantici nella tua chiesa; che intensa suggestione! Quelle voci mi distillavano in cuore la
verità». Però non trovo scritto che egli stesso si associasse al canto. Ma poiché è la
grazia, più che l’artificio, quella che conduce all’acquisto della contemplazione, e
poiché inoltre i canti non sono sempre gli stessi, non è impossibile che qualche religioso
occupato nella salmodia, il quale però già si sforzi di tendervi, giunga a provare l’estasi
al di sopra della mente, soprattutto se si dà da fare per divenire da carnale razionale e
poi anche spirituale. Forse la ripetizione della salmodia è stata decisa più per tenere
occupate le menti di uomini carnali — di quelli cioè che non sarebbero capaci di
meditare in pace dentro di sé sulle realtà superiori né di far buon uso dell’otium — che
non per favorire gli spirituali, i quali sono rari. Forse una vita religiosa bene organizzata
potrebbe sgravare un po’ di più costoro da un simile giogo, affinché il bove non sia
sempre costretto ad arare insieme all’asino, e Maria, che siede ai piedi di Gesù, non
venga mai a trovarsi fra i carnali, ma solo Marta.
Se poi il Dio vittorioso e il suo Spirito condurranno te che canti i salmi su queste
vette dove fluiscono i desideri, che bella cosa! Beato te! «Beato» dunque colui «che
conosce il giubilo» [Sal 88,16], che «canta i salmi con arte» [Sal 46,8] associando il
sentimento affettivo alla parola. O buon Gesù, quant’è beata un’anima siffatta! Essa non
è per te come una terra senza acqua. Con quale cura, con quale grandissima cura per la