Page 46 - Teologia Mistica
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dell’orazione estatica, ovvero perfetta,  deriva dal  suo  quadruplice rapporto:  a Dio, al
                  soggetto che prega, al prossimo ed al nemico.
                     Innanzitutto  deriva  dal  suo  rapporto  a  Dio,  in  quanto  a  Lui  solo  rende  gloria,
                  adorazione, azione di grazie ed onore, rendendoselo amico. Così, in forza della legge
                  dell’amicizia, che consiste nel volere le stesse cose e nel non volere le stesse cose, essa
                  riceve quel che chiede, trova quel che cerca, le viene aperto quando bussa; mentre ciò
                  non avviene per l’intellezione o per qualsiasi altra operazione.
                     In  secondo  luogo  l’orazione  purifica,  perfeziona,  illumina  il  soggetto  che  prega,
                  donandogli pace e stabilità.
                     In  terzo  luogo  l’orazione  giova  al  prossimo,  perché  con  un  certo  suo  influsso
                  vivificante  nutrisce  non  una  o  due  persone  soltanto,  ma  l’intero  corpo  mistico  della
                  Chiesa, ed abbraccia come in un amplissimo grembo di benevolenza materna tutte le
                  membra della Chiesa e le loro opere, offrendole a Dio e supplicando ed impetrando per
                  esse come  graditissima interceditrice,  onde recar sollievo alle necessità  dei  poveri in
                  spirito e ottenere ed impetrare elemosine di grazie nel grande ospizio di questo mondo
                  pieno di miserie, in questo purgatorio di tormento della carne. Nessun ammonimento
                  esteriore,  assolutamente  nessun  esercizio  esteriore  può  eguagliare  in  efficacia
                  quest’opera, giacché tutto ciò è vano, se non interviene l’orazione unita alla carità.
                     Infine  nulla  come  l’orazione  sconfigge  le  forze  del  nemico  furente,  nulla  come
                  l’orazione smaschera e vanifica i suoi tranelli. Dice infatti il profeta: «I miei occhi sono
                  sempre  rivolti  al  Signore,  perché  egli  libera  dai  lacci  i  miei  piedi»  [Sal  24,15];  ed
                  ancora: «Sempre io tengo il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra affinché non
                  vacilli» [Sal 15,8]. E il re Giosafat dice a Dio: «Poiché non sappiamo che fare, non ci
                  rimane  altro  che  rivolgere  a  te  i  nostri  occhi»  [2Paral  20,12].  Perciò  giustamente  il
                  Signore ha ordinato: «Bisogna pregare sempre, senza scoraggiarsi» [Lc 18,1]. Ma prega
                  sempre, sempre ha gli occhi rivolti a Dio, chi sempre lo desidera con affetto pio e umile.
                     A  questo  punto  potrebbe  finalmente  interrompersi  il  discorso  sull’orazione  —  la
                  quale,  abbiamo  detto,  coincide  con  la  vera  sapienza  e  con  la  teologia  mistica  —  ed
                  anche  sulla  sua  efficacia,  sulle  sue  molte  condizioni  e  proprietà.  Ma  per  tutto  ciò
                  rimando a quel che molto salutarmente hanno insegnato i santi e i maestri, in particolare
                  Ugo di San Vittore nel suo sottilissimo e compendiosissimo trattato sull’orazione, che
                  comincia con le parole: «Con quale impegno,  con quale amore si debba pregare Dio
                  ecc.». Si legga Guglielmo di Parigi nel suo libretto intitolato Retorica divina. Si leggano
                  anche gli altri che hanno scritto in modo assai dotto sulle proprietà dell’orazione, sulla
                  sua utilità, su chi ne trae giovamento, su chi ne è impedito.
                     Rimane ora da trattare, nelle pagine seguenti, la pratica della teologia mistica.


                         Termina  qui  la  prima  parte  della  Teologia  mistica  del  venerabile  Giovanni  Gerson,  già
                         Cancelliere della Chiesa parigina, esposta in modo più speculativo che pratico ecc.
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