Page 45 - Teologia Mistica
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L’orazione  viene  definita  elevazione  della  mente  a  Dio  in  forza  di  un  sentimento  o
                  affetto pio e umile. Ed ecco che l’orazione va oltre la mente e lo spirito — intendendo
                  qui per mente e spirito la facoltà conoscitiva intellettuale — perché passa al di sopra del
                  desiderio con un sentimento o affetto pio e umile. Ma con quale sentimento? Non col
                  sentimento o l’affetto sensibile o razionale, bensì col sentimento mentale o intellettuale
                  superiore,  altrimenti  non  si  tratterebbe  dell’orazione  perfetta  di  cui  stiamo  parlando.
                  L’Apostolo la descrive così: «Pregherò con lo spirito, ma anche con la mente» [1Cor
                  14,15] — intendendosi qui per «spirito» l’emissione di voce, e per «mente» la parte più
                  elevata  dell’anima  —  perché  un’orazione  che  si  esprimesse  solo  nella  voce  o
                  nell’immaginazione  sarebbe  priva  del  suo  complemento  perfettivo.  È  necessario  che
                  essa  passi  nella  mente  e  nel  cuore,  come  David  diceva  al  Signore:  «Il  tuo  servo  ha
                  trovato il suo cuore per pregarti» [2Re 7,27] — e come è costume della Chiesa esortare i
                  fedeli prima dell’orazione o del rendimento di grazie: «In alto i cuori»: e lo fa a buon
                  diritto,  per  non  incorrere  nella  maledizione  del  profeta  che  dice:  «Questo  popolo  mi
                  onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» [Is 29,13].
                     Questa maledizione temevano il beato Antonio eremita e altri grandi Padri, quando
                  facevano orazione non già alzando la voce, non già costruendo discorsi, bensì nutrendo
                  affetti pii e puri.
                     Pregando così, come insegna Antonio, spesso l’orante neppure sa, neppure si rende
                  conto che sta chiedendo qualcosa. Perché? Perché la mente, così presa dal sentimento
                  d’affetto, non riflette mai su di sé con l’intelletto, non costruisce mai discorsi, ma col
                  suo puro e semplice atto d’amore passa, sosta e riposa in Colui che è ogni bene, come se
                  dicesse  insieme  al  profeta:  «Nella  pace,  nell’Identico  dormirò  e  troverò  quiete»  [Sal
                  4,9].
                     Da quanto detto risulta più chiaro che la teologia mistica e l’orazione perfetta hanno
                  in  comune  che  entrambe  risiedono  nella  facoltà  affettiva  superiore  [=  la  sinderesi],
                  riguardano il Primo e Sommo Bene e sono amore puro di Lui, oppure lo accompagnano,
                  o  lo  generano  o  lo  presuppongono:  perciò  ad  entrambe  si  addicono  le  proprietà
                  dell’amore indicate in precedenza.



                                              [CONSIDERAZIONE XLIV]

                                      La quarantaquattresima considerazione mostra
                                  la perfezione dell’orazione e in che cosa essa consista,
                                    e parla dell’effetto e del vantaggio che ne derivano
                                      sia all’orante sia a coloro per i quali è offerta,
                                          nonché della sua superiore eccellenza.

                     La perfezione o felicità dell’anima razionale nella vita presente sta più nell’orazione
                  perfetta, o teologia mistica, che non nella contemplazione intellettuale.
                     Infatti  la  contemplazione,  se  la  si  considera  in  sé,  senza  l’amore  o  affetto  che  ne
                  consegue,  è  arida, inquieta, curiosa,  ingrata,  piena di  sé:  in  breve,  non  giunge mai a
                  quella pace che «sorpassa ogni intelligenza» [Fil 4,7]. È dunque lecito concludere che la
                  scuola in cui si insegna l’orazione è, a parità di condizioni, ben migliore della scuola in
                  cui si insegnano le lettere, così come la scuola della religione, che alimenta l’affetto, è
                  più  eccellente  della  scuola  dell’erudizione,  che  nutre  l’intelletto.  Perciò  il  vanto
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