Page 34 - Teologia Mistica
P. 34

dall’artista pratico, esperto e abbondantemente dotato degli uni e degli altri.
                     Questa  nona  differenza,  che  concerne  la  facilità  o  la  difficoltà  nell’operare,  la
                  possiamo  spiegare  con  un  esempio  familiare.  Se  un  uomo  espertissimo  nell’arte
                  musicale non si esercita nel canto vocale e neppure su strumenti a corde o a canne, ma
                  anzi ha la voce roca e i suoi strumenti musicali non sono accordati, per quanto si sforzi
                  di  cantare  o  di  suonare  non  v’è  dubbio  che  stonerà  e  non  riuscirà  a  produrre  alcuna
                  sinfonia  dolce  e  soave.  L’esempio  ci  fa  pensare  a  colui  che  è  capace  di  dissertare
                  sottilmente sulle cose divine, conosce bene anche le regole della morale e delle virtù e
                  ne parla molto a livello speculativo, ma non si decide ancora ad agire in conformità a
                  ciò che conosce. Costui dovrà piangere insieme all’Apostolo: «C’è in me una volontà
                  [di bene], ma non ho la forza di compierlo» [Rm 7,18]. È privo di quegli strumenti che
                  sono  gli  habitus  delle  virtù;  la  sua  carne  è  ribelle,  non  è  accordata  con  lo  spirito,  e
                  quando  viene  «toccata»  non  emette  alcun  suono  soave  e  divino,  ma  soltanto  rumori
                  spregevoli e disarmonici; ed anche il suo spirito, pur se si sforza di sciogliere a Dio gli
                  inni e i cantici dei pii desideri, quasi fosse un cantante, emette solo i fragori e gli strepiti
                  sgraziati dei desideri carnali e terreni.
                     Questa differenza potrebbe essere illustrata con mille esempi analoghi desunti dalle
                  altre arti, ad esempio da quelle della scrittura, della pittura, della medicina, della guerra,
                  della navigazione ecc.
                     Così  ad  esempio  i  bambini  imparano  meglio  a  camminare  in  modo  corretto
                  sforzandosi  di  prolungare  via  via  sempre  più  le  loro  piccole  passeggiate,  che  non
                  standosene  accovacciati  ad  ascoltare  le  mille  regole  e  modi  di  camminare  che
                  trasmettiamo loro. Si diventa artigiani esercitando l’arte. Analogamente noi indaghiamo
                  che  cos’è  la  virtù  non  per  puro  amore  del  sapere,  ma  affinché  compiendo  il  bene
                  diventiamo buoni, come dice Aristotele.



                                             [CONSIDERAZIONE XXXIV]

                                           La trentaquattresima considerazione
                                      parla della caligine in cui si muovono i filosofi
                                    e della chiarità in cui si muovono i teologi [mistici]
                               e adduce l’esempio del mare di Galilea e della nave, dei venti,
                                      dei pesci e della chiamata dei figli di Zebedeo.

                     Grazie alla teologia mistica noi siamo in Dio, cioè stiamo saldamente in lui, e dal
                  mare tempestoso dei desideri dei sensi siamo condotti alla spiaggia sicura dell’eternità.
                     In  questa  considerazione  si  spiega  pure  la  differenza  tra  le  due  teologie,  la
                  speculativa e la mistica. Se la teologia speculativa rimane sola, non dà mai pace, ma
                  piuttosto  rende  inquieti:  ce  lo  conferma  colui  che,  dopo  aver  voluto  indagare  con
                  diligenza su tutto, disse: «L’occhio non è mai sazio di vedere né l’orecchio di udire»
                  [Ec 1,8], facendo così capire che nella sola ricerca della verità non si trova la pace, ma
                  solo un desiderio sempre famelico perché sempre digiuno.
                     Questo è certamente il caso dei maggiori filosofi, i quali, presi da sconforto dopo
                  tutte le loro ricerche che non li avevano saziati, dissero di sapere soltanto di non sapere
                  alcunché. Vedete allora quanto è inutile un nutrimento che dopo tanto tempo e tanto
                  studio non lascia altro che vuoto nel profondo dell’anima.
   29   30   31   32   33   34   35   36   37   38   39