Page 19 - Teologia Mistica
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Al riguardo c’è una controversia tra platonici e peripatetici. Aristotele, capo di questi
ultimi, afferma che l’anima è «come una tabula rasa, nella quale niente è scritto».
Platone al contrario sostiene che «il nostro apprendere non è altro che un certo qual
ricordare». Orbene, quest’ultima tesi viene spiegata in vari modi dai diversi autori. Una
spiegazione parla di species create che i platonici sembrano aver posto nell’anima
nostra come noi le poniamo negli angeli; altri invece sostengono che non è necessario
affermare l’esistenza di tali species nell’anima, dato che l’anima stessa è immagine di
tutte le cose e, rivolgendosi a questa o a quella cosa, passa semplicemente da una
conoscenza potenziale a una conoscenza in atto, senza che si formi un’altra nuova
conoscenza: a somiglianza di uno specchio avente in sé le immagini delle cose, il quale,
se fosse una facoltà conoscitiva, riceverebbe la conoscenza di tali cose da se stesso; o,
per dirla con un esempio ancora più calzante: se queste immagini dello specchio
conoscessero se stesse e si riversassero in un’unica cosa, questa, conoscendo se stessa,
conoscerebbe anche tutte le cose di cui è immagine — in tal caso però sarebbe difficile
(ma non del tutto impossibile) salvare il mutamento da non conoscente a conoscente e
viceversa. Anche questa fantasticheria è contraddetta da un articolo parigino.
In secondo luogo diremo quello su cui quasi tutti convengono: le suddette sei
potenze ricevono illuminazioni dalle cognizioni e dalle affezioni acquisite, sia quelle in
atto sia quelle abituali. Ma ne vengono illuminate in modo diversificato: infatti alcune
cognizioni sono semplici, altre complesse; alcune consistono nel solo apprendimento [di
una verità], altre nell’assenso [alla verità appresa], e v’è diversità non piccola tra i vari
tipi di assenso: certi assensi si basano su un’evidenza risultante o dalla semplice
conoscenza dei termini, o dall’esperienza, o da una dimostrazione; altri assensi invece
non si basano su alcuna evidenza: di questi alcuni sono certi ed altri incerti; alcuni sono
motivati dalla probabilità delle ragioni intrinseche addotte, altri dalla probabilità delle
ragioni estrinseche, come sarebbe l’autorità di chi parla. V’è poi una grande diversità tra
la conoscenza razionale e la conoscenza sensibile. Ma c’è una molteplice
diversificazione anche tra le illuminazioni provenienti dai sensi, sia interni che esterni.
Similmente, agli atti e agli habitus affettivi andrebbe attribuita una varietà analoga a
quella riscontrata negli atti e negli habitus cognitivi, come abbiamo detto or ora, poiché
la natura dei secondi è analoga a quella dei primi. Sempre riguardo a questo problema,
infine, la nostra fede afferma che si danno molti habitus e talvolta anche atti
gratuitamente infusi in entrambe le potenze, cognitiva e affettiva: dalla luce che essi
effettivamente irraggiano o che sono in grado di irraggiare la nostra anima viene
illuminata spiritualmente in ordine a questo o a quello scopo. Fra tali habitus e atti
rientrano le tre virtù teologiche — fede, speranza, carità —, i sette doni dello Spirito
santo, le profezie e le rivelazioni e tutti quegli altri doni che lo Spirito unico e
molteplice distribuisce dandone a ciascuno secondo il suo volere.
Da quanto abbiamo detto sulla capacità di queste sei potenze a ricevere
illuminazioni, risulta chiaro che abbiamo avuto ragione di paragonarle a degli specchi,
come abbiamo aggiunto.
[CONSIDERAZIONE XIX]
La diciannovesima considerazione illustra con l’esempio
dei sei specchi l’attitudine delle suddette potenze