Page 8 - Il lavoro dei monaci
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che  egli  ha  sempre  rifuggito.  Dice:  Voi  ben  sapete  come  gli  addetti  ai lavori del tempio vivono delle
                  rendite  del  tempio  e  coloro  che  prestano  servizio  all’altare  partecipano  delle  offerte  dell’altare.
                  Similmente, ordinò il Signore che i banditori del vangelo debbono vivere del vangelo. Io, nondimeno, di
                  queste concessioni non ho mai voluto usare. Si possono immaginare parole più chiare e più esplicite? Mi
                  vien fatto di temere che, mentre prolungo il ragionamento e l’esposizione, finisca col diventare oscuro
                  quello che di per se stesso è evidente e manifesto. Che se c’è della gente che tali parole o non riesce a
                  capirle  o  fa  finta  di  non  riuscirci,  tanto  meno  comprenderà  le  mie  o  riconoscerà  che  le  mie  son
                  comprensibili. A meno che un tale riconoscimento non sia dovuto al fatto che, riguardo alle mie parole, si
                  sentono liberi di burlarsi di quello che hanno inteso, mentre altrettanto non  è loro permesso quando si
                  tratta delle parole dell’Apostolo.  È per questo che, se non ce la fanno a interpretarle diversamente, in
                  modo che quadrino con la loro opinione, si ostinano a rispondere che tali espressioni, siano pure chiare e
                  lampanti quanto si vuole, hanno un significato oscuro e incerto. Ciò, naturalmente, perché non possono
                  qualificarle  come  false  e  sballate.  L’uomo  di  Dio  asserisce  perentorio:  Il  Signore  ha  comandato  che
                  quanti  predicano  il  vangelo  abbiano  a  trarre  il  sostentamento  dal  vangelo:  disposizione  della  quale
                  peraltro io mi son sempre rifiutato di trarre profitto. Uomini grossolani, eccoli a far di tutto per traviare le
                  idee giuste, ingarbugliare quelle ovvie, rendere oscure quelle chiare. L’apostolo Paolo – sentenziano – si
                  occupava in lavori spirituali e da questi traeva il sostentamento. In tal modo egli viveva del vangelo. Ma
                  allora come fa egli a dire: Il Signore ha dato facoltà ai banditori del vangelo di vivere da esso; io però
                  non ho voluto mai far uso di questa concessione? Che se anche il verbo “ vivere “ avesse ad intendersi in
                  senso spirituale, povero Apostolo!, cui non sarebbe restata alcuna speranza di salvezza presso Dio, dal
                  momento che –come egli stesso afferma allorché dice: Io però mi son rifiutato di trar profitto da tali cose
                  – del vangelo non ci viveva. Se al contrario vogliamo concedere che l’Apostolo aveva certa la fiducia
                  della vita eterna, dobbiamo concludere che i vantaggi della vita spirituale dal vangelo egli ce li traeva. Per
                  cui,  quando  afferma  che  nessuna  utilità  ha  tratto  dal  vangelo,  deve  intendersi  senza  alcun  dubbio  dei
                  vantaggi della vita temporale. Egli si riferisce alla concessione fatta dal Signore ai predicatori del vangelo,
                  i  quali  debbono  vivere  del  vangelo,  vale  a  dire  che  dal  vangelo  debbono  ricavare  il  necessario
                  sostentamento  per  la  vita  mortale  di  quaggiù,  quella  che  ha  bisogno  di  vitto  e  di  vestito.  L’aveva  già
                  asserito  dei suoi compagni di apostolato, e l’aveva detto il Signore in persona:  L’operaio ha diritto a
                  nutrirsi, e ancora: L’operaio merita il giusto compenso. Orbene, questi alimenti e questo salario, che gli
                  evangelizzatori erano autorizzati a percepire per il loro sostentamento dalle popolazioni cui recavano la
                  buona novella, san Paolo non volle mai accettarlo. Proprio come dice: Ma io di tutte queste cose non ho
                  voluto profittare.

                  Il disinteresse favorisce l’accettazione del Vangelo.

                  10.  11. L’Apostolo prosegue aggiungendo dei particolari, affinché nessuno resti dell’idea che egli non
                  accettò le offerte per il fatto che nessuno gliene dava. Non scrivo queste cose affinché facciate altrettanto
                  con me. Sarebbe per me molto meglio morire che permettere che qualcuno venga a strapparmi questo
                  titolo di gloria. Quale gloria se non quella che s’era proposto d’avere dinanzi a Dio adattandosi per amore
                  di Cristo alle esigenze dei fratelli più deboli? Lo dirà subito appresso in termini perentori: Se mi dedico al
                  vangelo,  ciò  non  è  per  me  un  vanto;  è  una  necessità  che  mi  si  impone.  Dice  questo  riferendosi  alla
                  necessità di sostentare la vita presente, poiché soggiunge: Guai a me se non predicassi il vangelo; il che
                  vuol dire: Rifiutandomi di predicare il vangelo, lo farò a tutto mio danno perché avrò da patire la fame né
                  troverò  mezzi  per  vivere.  Notiamo  tuttavia  come  proseguendo  dice:  Se  invece  lo  faccio  di  propria
                  spontanea volontà, ne traggo del compenso. Può dire che lo fa spontaneamente se non vi  è spinto da
                  alcun bisogno di provvedere alle necessità della vita presente e, in tal caso, certo può attendersi della
                  ricompensa e precisamente dinanzi a Dio nella vita eterna. Dice ancora: Ma se lo faccio per forza, è un
                  incarico che mi è stato affidato. E vuol significare: Se contro voglia sono costretto a predicare il vangelo
                  per tirare avanti la vita, è sempre un compito che mi è stato affidato. E in termini ancor più chiari: Potrà
                  succedere  che  dal  mio  ministero,  dalla  predicazione  che  io  fo  di  Cristo  e  della  verità,  altri  traggano
                  profitto; ma io, avendo agito per opportunismo o per tornaconto o perché costretto da necessità materiali,
                  dinanzi a Dio non conseguirò l’eterna ricompensa di gloria. Quale dunque sarà la mia ricompensa?, dice.
                  È  un  interrogativo  che  si  pone,  e  quindi  la  lettura  qui  va  interrotta  un  momento,  finché  non  venga  la
                  risposta. Per capirci meglio, proviamo noi stessi a rivolgergli la domanda: Quale sarà dunque, o Apostolo,
                  la tua ricompensa, dal momento che tu rifiuti d’accettare quella materiale che è dovuta agli zelanti araldi
                  del vangelo, i quali, per quanto non mossi dalla prospettiva di questi vantaggi materiali a svolgere il loro
                  lavoro  di  evangelizzazione,  tuttavia  li  accettano  come  un  provento  aggiuntivo  a  titolo  d’offerta  basata
                  sulla disposizione del Signore? Dicci: Quale sarà la tua ricompensa? Eccoti quello che ti risponderebbe:
                  Nell’evangelizzare voglio spargere la buona novella senza alcun lucro. Cioè: Non voglio che a causa del





                  Agostino – Il lavoro dei monaci                                             pag. 6 di 23
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