Page 5 - Il lavoro dei monaci
P. 5
qualcuno lo paghi? Chi pianta una vigna e non mangia dei frutti che produce? Qual è quel pastore che
non prende del latte del suo gregge? Non volle dunque accettare quel che gli spettava allo scopo di
imporre con il suo esempio un limite a quei tali che, sebbene sprovvisti dello stesso titolo, pure erano
persuasi d’avere nella Chiesa diritto a tali prestazioni. Che altro senso avrebbero infatti le parole che
soggiunge: Noi non abbiamo mangiato a ufo il pane di alcuno; abbiamo piuttosto lavorato e sudato
fatiche, giorno e notte, per non essere di peso a nessuno. Non che ce ne mancasse l’autorizzazione, ma
per fornirvi un modello da imitare? Ascoltino tali parole coloro ai quali l’Apostolo ingiunge di lavorare:
gente che, senza avere le facoltà che egli aveva, pretendono di mangiare il pane senza meritarselo col
lavoro manuale, limitando essi il loro lavoro al campo spirituale. Ricordino le parole: Noi comandiamo
loro e nel nome di Cristo li scongiuriamo di lavorare in silenzio e in tal modo si guadagnino il pane che
mangiano; e di fronte a queste parole fin troppo chiare dell’Apostolo, la smettano con le loro dispute.
Anche questo infatti rientra in quel silenzio con cui secondo l’Apostolo debbono lavorare per procurarsi il
pane che mangiano.
La condotta di Paolo e quella dei Dodici: donna da non confondersi con moglie.
4. 5. Mi indugerei ad esaminare più a fondo e a trattare con maggiore studio queste parole dell’Apostolo
se nelle sue lettere non ci fossero altri passi molto più espliciti. Confrontato con questi, il nostro brano
acquista in chiarezza e, se anche – per ipotesi – non ci fosse per niente, gli altri da soli basterebbero a
chiarire il problema. Scrivendo sul medesimo argomento ai fedeli di Corinto egli dice: Non sono forse un
uomo libero? Non sono forse un apostolo? Non ho forse veduto il nostro Signore Gesù Cristo? Non siete
voi forse opera mia nel Signore? Se per altri io non sono un apostolo, per voi certamente lo sono, e voi
siete nel Signore il sigillo della mia opera apostolica. Quanto poi ai miei accusatori, ecco qual è la mia
replica: Forse che noi non abbiamo il diritto di mangiare e di bere? Forse che non abbiamo il diritto di
farci accompagnare da una donna scelta fra le nostre sorelle, come usano gli altri apostoli e fratelli del
Signore non escluso Cefa? Nota bene come egli da principio elenchi le cose a cui ha diritto,
aggiungendone pure il motivo che è la sua qualifica di apostolo. Comincia infatti così: Non sono forse
libero? Non sono forse un apostolo?; e per provare che è apostolo soggiunge: Non ho forse veduto il
Signore nostro Gesù Cristo? E la mia opera non siete voi nel Signore? Dopo tali premesse egli passa a
dimostrare che godeva degli stessi diritti degli altri apostoli e che cioè avrebbe potuto esimersi dal lavoro
manuale e vivere a carico del vangelo. Ciò in conformità con quanto stabilito da Cristo, come dimostra
subito appresso con parole quanto mai esplicite. C’erano infatti delle donne, benestanti e devote, che
andavano insieme con gli apostoli e li mantenevano con i loro averi in modo che non mancasse loro il
necessario per vivere. Era una cosa a lui lecita – asserisce Paolo – come lo era agli altri apostoli; ma di
tale concessione – dirà più tardi – egli non volle far uso in alcun modo. Qualcuno non ha compreso
l’espressione “ donna–sorella “ di cui parla Paolo quando dice: Forse che non siamo autorizzati a farci
accompagnare da una donna di tra le sorelle?; e ha inteso trattarsi della moglie. Li ha tratti in inganno il
greco che è ambiguo e può significare “ donna “ e “ moglie “. In verità, dal tenore della frase come l’ha
enunziata l’Apostolo, non ci si sarebbe dovuti sbagliare: infatti, egli non dice solo la donna ma una
donna–sorella, né parla di prendere in moglie ma di portare insieme nei viaggi. È ciò che hanno letto
senza esitazione altri interpreti, che, non ingannati dal termine ambiguo, hanno compreso una donna e non
la moglie.
I dodici si conformano agli esempi di Cristo.
5. 6. Al seguito degli apostoli, dunque, in ogni località dove si fossero recati a predicare il vangelo
andavano delle donne di condotta ineccepibile, le quali dalle loro rendite somministravano ad essi il
necessario per vivere. Se qualcuno ritenesse impossibile un tal fatto apra il vangelo e riconosca che ciò
facevano proprio sull’esempio del loro Signore. Il quale, sebbene potesse farsi servire dagli angeli, pure,
per adeguarsi – secondo la consuetudine della sua misericordia – al livello dei più deboli, s’era provvisto
d’una borsa dove riponeva il denaro che gli veniva consegnato dalla gente buona e affezionata e che era
necessario al sostentamento dei suoi. Questa borsa egli l’aveva affidata a Giuda, per farci imparare che
nella Chiesa, qualora non riusciamo ad eliminare la genia dei ladri, abbiamo almeno a trattarli con
tolleranza. Di Giuda infatti sta scritto: Quanto si metteva dentro – nella borsa – egli lo faceva sparire. E,
quanto alle donne, volle Cristo che stessero al suo seguito per procurare e somministrare le cose che gli
erano necessarie, mostrando col suo esempio quali fossero gli obblighi del popolo di Dio verso gli araldi
del vangelo e i ministri di Dio: obblighi che vien fatto di paragonare a quelli che hanno le genti di
provincia verso i soldati dell’imperatore. Che se poi qualcuno degli apostoli – come fu il caso di Paolo –
non avesse voluto accettare e far suo di quel che gli sarebbe spettato, con questo suo rifiutare il contributo
Agostino – Il lavoro dei monaci pag. 3 di 23