Page 10 - Il lavoro dei monaci
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Si preoccupa di eliminare ogni pretesto.
12. 13. Di questa debolezza parla san Paolo in un altro passo delle sue lettere: In mezzo a voi siamo
ridiventati dei bambini, come quando una nutrice si sta prodigando intorno ai suoi piccini. Il contesto del
brano sta a indicarci che si tratta proprio di questo. Dice: Non siamo stati mai degli adulatori nel nostro
parlare: voi lo sapete. E nemmeno sospinti cupidamente da motivi di interesse: Dio ne è testimone. Non
abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi né da altri. Pur potendo esservi di peso, come apostoli di
Cristo... Ma abbiamo preferito essere bambini in mezzo a voi, come quando una madre prodiga cure
verso i suoi figli. Quel che ha detto ai Corinzi, cioè d’avere dei diritti in forza del suo ufficio di apostolo,
come ne avevano gli altri suoi colleghi, ma di non averne mai usato, lo ripete nella frase ai Tessalonicesi:
Pur avendo l’autorizzazione d’imporvi dei gravami, in quanto apostoli di Cristo..., che poi è lo stesso di
quanto asseriva il Signore: L’operaio ha diritto al suo salario. E che tratti proprio di questo, lo si ricava
dalle parole dette un po’ prima, e cioè: Non per motivi d’interesse, Dio ne è testimone. Vi erano infatti
certuni che traevano motivo di scandalo dalla facoltà concessa da Cristo ai banditori del vangelo, ai
predicatori coscienziosi che non annunziavano la buona novella per lucro, ma ricercavano il Regno di Dio
lasciando che il resto fosse loro fornito gratuitamente. C’erano dei tali di cui Paolo dice che sono servi
non di Dio ma della loro pancia. E proprio per non dare appiglio a gente di tal fatta, l’Apostolo si
rifiutava d’accettare anche quello che giustamente gli sarebbe aspettato. Testimonianze esplicite in merito
ne abbiamo nella seconda ai Corinti, dove Paolo dice che alle sue occorrenze han provveduto altre Chiese.
S’era ridotto, così pare, a tal grado d’indigenza che delle comunità lontane si sentivano in dovere
d’inviargli il necessario per vivere, ma dalla gente presso cui si trovava non volle mai accettare niente.
Ecco le sue parole: Che, dunque, feci male allorché, umiliando me stesso al fine di innalzare voi, decisi di
predicarvi il vangelo di Dio senza compenso? Depauperai altre chiese, accettando da esse delle
sovvenzioni per adempiere il mio ministero fra voi; e quando, nel mio soggiorno nella vostra città, mi
trovai nella strettezza, non volli imporre gravami a qualcuno. Furono i fratelli venuti dalla Macedonia
che mi fornirono l’occorrente. Quanto a voi, mi sono astenuto dall’imporvi qualunque sorta di gravami e
sempre me ne asterrò. Com’è certo che in me c’è la verità di Cristo, vi assicuro che questo vanto non mi
sarà tolto da alcuno nelle regioni di Acaia. Ma perché? perché non vi voglio bene? Lo sa Iddio. Il mio
agire, attuale e futuro, ha per solo ed unico motivo il proposito di voler togliere ogni pretesto a coloro
che vanno in cerca d’un pretesto per poter essere trovati uguali a noi nelle cose di cui menano vanto. È
dei pretesti che qui dice di non voler offrire a nessuno che occorre intendere anche le altre parole, e cioè:
e nemmeno sospinti da motivi di interesse, Dio ne è testimone. Quello che dice nella sopra citata lettera, e
cioè: Umiliando me stesso per innalzare voi, lo si ritrova nella prima lettera ai medesimi fedeli di Corinto:
Mi son fatto debole per riguardo ai deboli, e nella lettera ai Tessalonicesi: Mi son reso bambino in mezzo
a voi, come quando una nutrice prodiga cure verso i suoi piccoli. Attenzione pertanto a quel che segue:
Alla stessa maniera, sentendoci pieni d’affetto per voi, ci sarebbe piaciuto farvi dono non soltanto del
vangelo di Dio ma anche della nostra vita, poiché ci siete diventati oltremodo cari. Vi ricorderete infatti,
o fratelli, delle nostre fatiche e dei nostri disagi, come noi lavoravamo notte e giorno per evitare d’essere
di peso a chiunque. Precisazione che ricalca quanto detto prima e cioè che in qualità di apostoli di Cristo
noi potevamo esservi di peso. La sua condotta fu ispirata a sensi di trepidazione paterna, o materna, e
suggerita dai pericoli che sarebbero derivati ai meno robusti nella fede, i quali, turbato l’animo da sospetti
sia pure infondati, avrebbero preso a malvolere il vangelo, quasi fosse una cosa commerciabile. Non
diversamente suonano le parole che Paolo – secondo gli Atti degli Apostoli – ebbe a dire allorché,
mandando da Mileto un’ambasceria ad Efeso, ne fece chiamare gli anziani della comunità ai quali, fra
l’altro disse: Non sono stato mai avido né di argento né di oro né di vesti di alcuno; voi lo sapete. Alle
necessità mie e dei miei collaboratori han provveduto queste mani. Con ogni cosa ho voluto mostrarvi
come sia necessario lavorare e in tal modo andare incontro alle esigenze dei più deboli, tenendo anche
in mente il detto del Signore Gesù quando diceva che è sorte più felice quella di dare che non quella di
ricevere.
Il mestiere esercitato da Paolo fu certamente onesto.
13. 14. A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: Se l’Apostolo lavorava manualmente per procurarsi
da vivere, qual era il mestiere che esercitava e come riusciva insieme a lavorare e a predicare il vangelo?
Rispondo: Poni il caso che una risposta esauriente io non la sappia; resta sempre il fatto, indiscusso, dopo
le affermazioni riportate sopra, che egli lavorava con le sue mani per trarne il sostentamento senza aver
bisogno di ricorrere alla facoltà concessa dal Signore agli apostoli di vivere del vangelo che predicavano.
Non si trova infatti affermato in un passo soltanto o di sfuggita, di modo che il suo pensiero possa essere
svisato o falsato dall’abilità di qualsiasi dialettico, magari il più sottile. Che se gli argomenti forniti da una
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