Page 11 - Il lavoro dei monaci
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persona  di  così  grande  autorità  qual  era  Paolo  sono  così  forti  e  numerosi  da  ridurre  in  frantumi  le
                  obiezioni di qualunque avversario, a che pro chiedermi qual sorta di lavoro egli facesse o quando avesse il
                  tempo  per  dedicarvisi?  Una  cosa  soltanto  io  so,  e  cioè  che  non  rubava  né  depredava,  che  non  era un
                  bandito  né  un  auriga  o  un  combattente  contro  le  fiere  nel  circo,  che  non  faceva  il  ciarlatano  o  il
                  biscazziere. S’occupava invece in mestieri innocui e onesti e così produceva qualche articolo socialmente
                  utile,  come  sono  quelli  degli  artigiani,  dei  muratori,  dei  calzolai,  dei  contadini  e  di  altri  dello  stesso
                  genere. Non è infatti in contrasto col vero concetto di dignità ciò che disdegna l’alterigia di coloro che
                  amano essere chiamati “ i dignitari “ ma non amano acquistarne le doti. L’Apostolo quindi non avrebbe
                  rifuggito dal dedicarsi a qualche lavoro campestre o a qualche mestiere di artigiano. Non saprei infatti di
                  chi  avrebbe  dovuto  aver  soggezione  in  questa  materia  colui  che  aveva  detto:  Non  vogliate  essere
                  d’ammirazione né per i giudei né per i pagani né per alcuno nella Chiesa di Dio. Se uno dicesse: Per i
                  giudei;  ma  anche  i  patriarchi  erano  pastori  di  greggi.  Se:  Per  i  greci,  quelli  cioè  che  noi  chiamiamo
                  pagani; ma anche certi filosofi da loro ritenuti in grande considerazione facevano i calzolai. Se:  Per la
                  Chiesa di Dio; fu un falegname quel giusto che Dio scelse a testimone della verginità di colei che da sposa
                  e poi per sempre sarebbe rimasta illibata, colui  – dico – cui era fidanzata la Vergine Maria, madre di
                  Cristo. Qualunque mestiere fra quelli elencati più sopra è dunque buono, purché lo si adempia con fedeltà
                  e senza frode. Poiché anche questa è una cosa da cui l’Apostolo mette in guardia, e cioè che nessuno abbia
                  a sdrucciolare nel male per il bisogno di sostentarsi materialmente. Dice infatti: Chi prima era dedito al
                  furto  smetta  ormai  di  rubare,  si  dedichi piuttosto a qualche onesto lavoro manuale, in modo d’avere
                  mezzi per andare in soccorso dei bisognosi. Basti dunque sapere questo: che, nel lavoro manuale da lui
                  esercitato, l’Apostolo spiegava un’attività moralmente buona.

                  Contrasto fra l’instancabile attività di Paolo e l’oziosità di certi monaci.
                  14. 15. Quando poi si dedicasse al lavoro, cioè in quali ore del giorno, senza che ciò gli ostacolasse la
                  predicazione del vangelo, nessuno potrebbe precisarlo. Ad ogni modo, egli personalmente ci riferisce che
                  lavorava e di giorno e di notte. Quanto invece a questa gente che, indaffarata fino alla cima dei capelli, si
                  prende la briga d’indagare sul tempo che Paolo dedicava al lavoro, loro stessi di che cosa si occupano?
                  Forse che sono stati loro a diffondere il vangelo per tutta la terra, da Gerusalemme via via tutt’all’intorno
                  fino  all’Illiria?  O  forse  che  si  son  loro  assunti  il  compito  di  spingersi  in  mezzo  a  quante  popolazioni
                  barbare ancora ci sono, per arricchirle della pace della Chiesa? Noi sappiamo bene, al contrario, che essi
                  si  trovano  riuniti  in  una  di  per  sé  santa  associazione  ove  menano  una  vita  assolutamente  inattiva.
                  Ammirevole condotta, invece, quella dell’Apostolo, il quale, pur in mezzo a tante cure per tutte le Chiese
                  che,  o  già  fondate  o  da  fondarsi,  rientravano  nella  sfera  delle  sue  preoccupazioni  e  fatiche, trovava il
                  modo di lavorare anche di lavoro manuale. Eppure, quando durante il suo soggiorno a Corinto venne a
                  trovarsi nell’indigenza, non volle essere di peso per nessuno di quelli del posto, ma alle sue necessità
                  provvidero totalmente i fratelli venuti dalla Macedonia.

                  I fedeli debbono essere generosi verso i predicatori del Vangelo.
                  15.  16.  Paolo  non  ignorava  che  situazioni  d’indigenza  talora  capitano  ai  fedeli:  i  quali,  per  quanto
                  sottomessi alle norme da lui impartite di procurarsi il nutrimento lavorando in silenzio, per motivi vari
                  possono aver bisogno che altri li riforniscano di quanto loro manca per sostentarsi. Pertanto, dopo aver
                  detto a guisa d’insegnamento e d’ammonizione: A costoro noi comandiamo e nel nome del Signore nostro
                  Gesù Cristo indirizziamo un appello a procacciarsi di che vivere lavorando in silenzio, perché chi fosse
                  stato  in  grado di soccorrere i servi di Dio nelle loro necessità non avesse a trarre dalle sue parole un
                  motivo di rilasciamento nel beneficare il prossimo, con preveggente chiarezza soggiunse immediatamente:
                  Ma voi, fratelli, non stancatevi di compiere il bene. E scrivendo a Tito dice: Prima di te, al più presto
                  mandami Zena, esperto nel giure, e Apollo, badando che loro non manchi nulla; e per far comprendere
                  quali fossero i motivi per cui essi non dovevano mancare di nulla, soggiunge subito: Che i nostri imparino
                  a organizzare opere di bene per ovviare alle necessità della vita e non rimangano sterili. E poi ci sono gli
                  ammonimenti  rivolti  a  Timoteo,  che  Paolo  chiama  il  figlio  del  suo  cuore.  Sapendolo  fisicamente
                  infermiccio,  lo  esorta  a  non  bere  soltanto  acqua  ma  anche  del  vino,  e  questo  a  causa  dello  stomaco
                  malato e delle altre frequenti indisposizioni. Nei riguardi di Timoteo, dunque, Paolo poteva nutrire timori
                  che,  non  potendo  dedicarsi  a  lavori  manuali  e  non  volendo,  d’altra  parte,  dipendere  da  coloro  cui
                  predicava  il  vangelo  in  quel  che  concerneva  il  vitto  quotidiano, si dedicasse ad attività che avrebbero
                  potuto  assorbirlo  spiritualmente.  (Poiché  un  conto  è  lavorare  con  le  proprie  mani  mantenendo  libero
                  l’animo, come sogliono gli artigiani quando non sono imbroglioni o incontentabili in fatto di denaro o di
                  possessioni; un altro conto è avere lo spirito immerso nelle preoccupazioni sul come accumulare ricchezze





                  Agostino – Il lavoro dei monaci                                             pag. 9 di 23
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