Page 14 - Il lavoro dei monaci
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vivere  in  un  grado  di  santità  superiore  all’ordinario,  perché  così,  libero  il  cuore  dai  legami  di  mire
                  secolaresche,  potessero  dedicarsi  con  tutta  libertà  al  servizio  di  Dio.  Allo  stesso  modo  però  debbono
                  rispettare gli ordini dell’Apostolo anche questi nostri fratelli, abbassandosi alle esigenze dei più deboli:
                  liberi  dall’attaccamento  alla  proprietà  privata,  essi  debbono  lavorare  manualmente  a  vantaggio  della
                  comunità, obbedendo senza mormorazioni agli ordini dei superiori. Che se qualche offerta giunge loro da
                  parte dei fedeli, con questa si provveda a supplire quanto del necessario manca a quei fratelli che, sebbene
                  in via ordinaria siano dediti al lavoro e occupati in qualche mestiere per trarne da vivere, si  trovino in
                  necessità per la cattiva salute o perché siano state loro affidate delle incombenze nella Chiesa o perché
                  debbano attendere all’istruzione degli altri nella dottrina della salvezza.

                  Il lavoro manuale non sempre è incompossibile con l’attività spirituale.
                  17. 20. A questo punto, io vorrei sapere di che cosa si occupino mai questi tali che non vogliono lavorare
                  manualmente, quale sia il loro da fare. Replicano: Le preghiere, la salmodia, la lettura, la parola di Dio.
                  Vita santa, certamente! Vita encomiabile, colma delle dolcezze di Cristo. Ma se da tali occupazioni non si
                  può mai essere distolti, non si deve neppure mangiare né spendere quotidianamente del tempo a preparare
                  le vivande che si servono e consumano. Che se, al contrario, il logorio della vita di ogni giorno impone ai
                  servi di Dio la necessità di dedicarsi ad ore determinate ad occupazioni di questo tipo, perché rifiutarsi di
                  spendere  del  tempo  a  mettere  in  pratica  le  ingiunzioni  dell’Apostolo?  Una  sola  preghiera  dell’uomo
                  obbediente  viene  infatti  ascoltata  da  Dio  più  presto  che  non  interminabili  suppliche  levate
                  dall’insubordinato.  Quanto  al  cantare  i  canti  divini,  può  esser  fatto  –  e  con  facilità  –  anche  mentre  si
                  lavora con le mani. Anzi, è bello rallegrare così il lavoro quasi col ritmo di una celestiale cadenza. Chi
                  infatti non sa come tanti lavoratori, mentre le loro mani si muovono nel disbrigo delle faccende, col cuore
                  e con la lingua si dànno a cantare motivi uditi nelle rappresentazioni teatrali, tanto insulsi e il più delle
                  volte anche licenziosi? Chi dunque può proibire al servo di Dio che, mentre lavora con le mani, mediti la
                  legge del Signore e canti salmi a gloria del nome del Dio altissimo? Basta che abbia ore sufficienti per
                  imparare a memoria quel che avrà a ripetere. E questo è appunto uno dei motivi per cui non debbono venir
                  meno i contributi dei fedeli: somministrare quanto manca ai servi di Dio, i quali, per il fatto che dedicano
                  delle ore all’istruzione – ore in cui, naturalmente, non possono eseguire lavori manuali – non debbano
                  essere ridotti in completa miseria. Quanto poi a quelli che dicono di occupare il tempo nella lettura, come
                  mai non si sono incontrati nelle prescrizioni dell’Apostolo circa il lavoro? Strana cosa invero: spendere il
                  tempo nella lettura e regolarsi a dispetto di essa e, pur di protrarre una buona lettura, non risolversi mai a
                  mettere in pratica quel che si legge! Chi infatti non capisce che, quando uno legge libri edificanti, tanto
                  più rapido sarà il suo profitto quanto più presto si decide a mettere in pratica quello che legge?

                  Lavorare con ordine, distribuendo saggiamente il tempo.
                  18. 21. Ammettiamo pure che a qualcuno venga affidato l’incarico di dispensare la parola di Dio e che
                  tale incombenza lo assorba in modo da non permettergli d’attendere al lavoro manuale. Ma forse che in un
                  monastero tutti sono all’altezza d’un tale compito? Vengon da loro dei fratelli provenienti da tutt’altro
                  genere di vita; ed essi saranno tutti in grado di esporre loro le Sacre Scritture o di tenere loro con frutto
                  conferenze su punti specifici di dottrina sacra? E se tutti non hanno di tali capacità, perché con questo
                  pretesto volersi tutti esimere dal lavoro? Che se anche tutti avessero le doti per riuscirci, anche allora
                  dovrebbero farlo a turno, allo scopo di non distogliere gli altri dal lavoro necessario, non solo ma anche
                  perché a soddisfare parecchi uditori basta uno solo che parli. C’è di più: lo stesso Apostolo come avrebbe
                  trovato il tempo per lavorare manualmente se non avesse determinato delle ore fisse in cui annunziare la
                  parola di Dio? È un elemento che Dio non ha permesso restasse nell’ombra: infatti, la sacra Scrittura ci
                  riferisce quale fosse il mestiere che esercitava e in quali ore del giorno si occupasse della predicazione del
                  vangelo. Si era a Troade, il primo giorno della settimana, ed era imminente il giorno in cui Paolo doveva
                  mettersi in viaggio. I fratelli s’erano riuniti per la frazione del pane, e tale e tanto fu il fascino delle parole
                  dell’Apostolo e così accesa la disputa che ne nacque che il ragionare si protrasse fino alla mezzanotte.
                  Come se si fossero scordati che quel giorno non era vigilia! Allo stesso modo, quando restava per diverso
                  tempo  in  una  località  ogni  giorno  attendeva  alla  catechesi,  avendo,  naturalmente,  a  tal  fine  delle  ore
                  stabilite. Così quando fu in Atene, dove aveva trovato gente tutta assorbita nella ricerca del sapere, ci si
                  riferisce  che  teneva  discorsi  ai  giudei  nella  sinagoga,  e  ogni  giorno  nell’agorà  alla  gente  del
                  paganesimo, indirizzandosi a quanti vi incontrava. Nella sinagoga non tutti i giorni, perché era consueto
                  parlarvi  solo  di  sabato;  nell’agorà  invece  –  lo  dice  chiaro  –  tutti  i  giorni,  perché  così  esigevano
                  l’inclinazione e le consuetudini degli Ateniesi. E alcuni filosofi – continua il testo – fra gli epicurei e gli
                  stoici  entravano  in  discussione  con  lui.  Poiché  gli  ateniesi  –  vi  si  dice ancora  – e i forestieri che ivi





                  Agostino – Il lavoro dei monaci                                            pag. 12 di 23
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