Page 15 - Il lavoro dei monaci
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dimoravano non attendevano ad altro se non ad esporre le novità o ad ascoltarle. Possiamo supporre che
nei giorni che passò ad Atene l’Apostolo non ebbe la possibilità di lavorare e che per questo motivo
dovettero pervenirgli delle sovvenzioni dalle Chiese di Macedonia, come egli stesso ricorda nella seconda
ai Corinti, sebbene non sia escluso che nelle ore rimastegli libere e nottetempo egli abbia potuto lavorare,
dato che era un tipo forte di animo e godeva buona salute. Ma quando ebbe lasciata Atene..., osserviamo
quel che riferisce di lui la sacra Scrittura. Tutti i sabati teneva dibattiti nella sinagoga, dice di lui
quand’era a Corinto. E a Troade, quando l’istruzione si protrasse fino a mezzanotte a causa
dell’imminente partenza, si nota che era il primo giorno della settimana, vale a dire la domenica: dalla
quale circostanza ci è dato concludere che non parlava ai giudei ma a dei cristiani, come del resto indica
lo stesso autore della narrazione allorché precisa che s’erano riuniti a “ spezzare il pane “. Linea di
condotta veramente eccellente, questa, in quanto tutte le cose sono compiute con ordine e ciascuna a suo
tempo, senza che vengano ad accumularsi e a turbare così l’animo dell’uomo con guazzabugli
inestricabili.
Il mestiere esercitato da Paolo. Pericoloso il contagio della pigrizia.
19. 22. In questa occasione ci si fa anche sapere quale fosse il mestiere dell’Apostolo. Uscito da Atene –
dice – venne a Corinto, e avendo incontrato un certo Aquila, giudeo di razza e originario del Ponto, che
da poco era giunto dall’Italia insieme con la moglie Priscilla in seguito all’ordine impartito da Claudio
a tutti i giudei di partire da Roma, si fermò da loro e vi restò a lavorare, dato che facevano un identico
mestiere: quello di fabbricanti di tende. Chi volesse interpretare in senso allegorico anche questo passo
darebbe a divedere quanto progresso abbia compiuto nella scienza delle cose sacre, alla quale si vanta di
dedicare il tempo. Giova a questo punto riepilogare le espressioni finora elencate. Forse che io solo e
Barnaba saremmo privi dell’autorizzazione di non lavorare?, e: Di tale facoltà noi non abbiamo voluto
far uso, e: Nella nostra qualità di apostoli del Signore noi avremmo potuto imporvi dei gravami, e:
Abbiamo lavorato notte e giorno pur di non essere di peso a nessuno, e: Il Signore ha così disposto, che
coloro che predicano il vangelo dal vangelo ricavino da vivere: facoltà della quale peraltro io non mi
sono affatto servito. E così via di seguito. Sono affermazioni che essi o debbono interpretare in senso
diverso da come suonano, ovvero, se debbono arrendersi di fronte alla fulgida luce di verità che promana
da esse, debbono anche intenderle alla lettera, e metterle in pratica. Che se loro personalmente non
vogliono o non possono obbedire, riconoscano almeno che, quelli che lo vogliono, sono migliori di loro e
quelli che, avendone la possibilità, di fatto obbediscono, sono più felici. Un conto è infatti essere colpito
da un’infermità reale o anche soffrire per una immaginaria, un altro conto è illudersi e dare l’illusione che
fra i servi di Dio s’è raggiunto un più elevato grado di santità perché la pigrizia è riuscita a dominare su
gente ignorante. Ne segue che, mentre verso colui che è veramente malato si debbono usare tutte le
premure, il malato che falsamente si ritiene per tale, se non si riesce a convincerlo, occorrerà lasciarlo a
Dio perché ci metta le mani lui: tuttavia nessuno dei due dà adito a che si creino costumanze riprovevoli.
Infatti, il religioso perbene si presta a rendere i servizi necessari al fratello veramente malato e, quanto al
malato immaginario, siccome non lo ritiene perverso non è tentato d’imitare la sua malizia; se invece non
ce lo crede, lo prende per un imbroglione e neanche allora sarà tentato d’imitarlo. Quanto invece all’altra
categoria, coloro cioè che vanno dicendo: “ Ecco la vera santità: imitare gli uccelli dell’aria “ e: “ niente
lavoro manuale! “ e: “ Chi lavora con le mani agisce contro il vangelo “, se questa gente l’ascolta
qualcheduno spiritualmente infermo sarà portato a crederle e deve essere compianto non tanto per la vita
oziosa che mena quanto per l’errore in cui si trova.
Un pretesto desunto dal comportamento dei Dodici.
20. 23. Potrebbe sorgere anche un altro problema. Qualcuno infatti potrebbe osservare: Ma come? gli
apostoli, i fratelli del Signore e Cefa forse che commettevano peccato non lavorando manualmente? o
creavano forse ostacoli alla diffusione del vangelo?, se è vero quel che asserisce Paolo, che cioè egli non
s’è voluto servire del potere concessogli da Cristo per non suscitare ostacoli alla diffusione del vangelo.
Se infatti con l’astenersi dal lavoro commettevano peccato, è falso asserire che avevano ricevuto
l’autorizzazione di non lavorare potendo trarre il sostentamento dal vangelo che predicavano. Se al
contrario tale autorizzazione l’avevano effettivamente ricevuta (secondo la disposizione del Signore che
coloro che predicano il vangelo han da vivere del vangelo e che ogni operaio merita il suo nutrimento ),
per quanto Paolo non si sia voluto servire della facoltà ricevuta perché voleva spenderci anche di più dello
stretto necessario, certamente anche gli altri apostoli con il loro modo di agire non commettevano peccato.
Se non peccavano, non creavano ostacoli al vangelo, poiché non sarebbe stato senza colpa sollevare
ostacoli alla propagazione del vangelo. Ma allora, se le cose stanno realmente così, concludono i nostri,
Agostino – Il lavoro dei monaci pag. 13 di 23